“Regioni a Statuto Speciale? Sono ormai un anacronismo”. Le parole pronunciate dal presidente della Toscana, Enrico Rossi, sull’ipotesi di ripensare lo status dell’autonomia hanno suscitato una vasta eco. E una preoccupazione altrettanto vasta. Specie in chi ha usato questo regime di governo a vantaggio dei propri cittadini, come il Friuli Venezia Giulia (cui, a onor del vero, lo stesso Rossi ha riservato parole lusinghiere, citandolo come esempio virtuoso).
Presunte disparità
La presidente Debora Serracchiani ha bollato le parole del governatore toscano come frutto del “clima di campagna elettorale” per le regionali imminenti. Stessa motivazione guiderebbe anche le uscite (analoghe per spirito, anche se diverse nel merito) di Alessandra Moretti, candidata Pd alla conquista del nostro West, cioè del Veneto. “Ci sono troppe disparità nell’erogazione dei finanziamenti – ha infatti attaccato Rossi – quindi anche dei servizi. E oltre tutto questo si riflette sulle tasse locali, perché le Regioni trattengono ritenute erariali e, quindi, possono evitare di fare cassa”. Balle, perché quelle ‘trattenute’ – nel caso del Friuli – servono a pagare in proprio quisquilie come Sanità ed Enti locali.
‘Lobby’ toscana
Sta di fatto, però, che l’atmosfera intorno alle ‘cinque sorelle’ si fa pesante: l’accerchiamento da parte di chi le considera privilegiate è sempre più stretto. E le parole di Rossi, numero tre nella ‘lobby’ toscana interna al partito, non possono non avere l’assenso (o il suggerimento?) della numero due, quella Maria Elena Boschi che sta prendendo sempre più quota – forse proprio ai danni della stessa Serracchiani – negli equilibri interni al partito del toscano numero uno, Matteo Renzi.
Statuti speciali da rottamare
Il disegno renziano sulla revisione istituzionale delle Regioni del resto è chiaro: di fronte ai loro asseriti privilegi, la tentazione di ‘rottamare’ le Regioni a Statuto Speciale è forte. Le soluzioni sono due: si può eliminare la specialità, oppure eliminare le Regioni. Se non si vuole percorrere la prima strada, resta la seconda: l’accorpamento in macroregioni previsto dal ddl Morassut, che ci unirà a Veneto e Trentino Alto Adige (risparmiando, invece, la contabilmente impresentabile Sicilia). Fantascienza? Il provvedimento è inattuabile forse nell’immediato, ma sicuramente nella prossima legislatura, con un sistema monocamerale blindato da un premio di maggioranza larghissimo, sarà più facile manomettere l’assetto costituzionale vigente.
Situazione non invidiabile
La Serracchiani si trova quindi in una situazione non invidiabile, che forse avrebbe potuto gestire meglio se avesse accettato la presidenza della Conferenza Stato-Regioni a suo tempo offertale. Ora, di fronte a una levata di scudi contro l’autonomia, cosa farà? In un clima di austerity, dove ai soli Comuni sono stati tagliati 17 miliardi di euro in 5 anni, che rappresentano solo (val la pena dirlo) il 2,5 per cento del debito nazionale e il 7,6 per cento della spesa, la resistenza in nome della ‘democrazia diffusa’ può essere credibile?
‘Class action’ preventiva
Difficile protestare in nome dell’autonomia quando buona parte di coloro che dovrebbero rappresentarla in prima persona e in carne ed ossa, ossia i sindaci, lamentano che proprio la presidente la starebbe devastando con una riforma degli enti locali che li espropria delle loro competenze. L’aver scatenato una sorta di ‘class action’ preventiva da parte di 55 Comuni contro la Regione è un fenomeno inedito in questa terra. E anche se lo si considera pretestuoso e politicamente eterodiretta, come fa la presidente, tale conflitto rende più debole il fronte della difesa della nostra autonomia. Ripetiamo, è difficile difendersi dal centralismo ‘romano’ quando se ne vuole creare uno ‘triestino’. Il Fvg avrebbe bisogno di una rielaborazione forte e urgente, non di azioni che – volenti o nolenti – concorrono a minare la specialità.
Pericolo periferia
Anche perché questa Regione (ed è un dato su cui non si riflette abbastanza) ha avuto margini di sviluppo solo quando ha potuto gestirsi da sola, mai quando è stata periferia di qualcos’altro. E il pericolo è di tornare ad esserlo, travolti dall’unanimismo contro la specialità sprecona che nasconde un intento accentratore, comune ai maggiori partiti e assolutamente trasversale.