Un bel cinque. è questo il voto che Aureli Argemí, fondatore e presidente onorario del Centre Internacional Escarrè per a les Minories Ètniques i les Nacions (Ciemen) di Barcellona, dà all’Italia in tema di tutela delle minoranze linguistiche. Aregmì, che nei giorni scorsi era in Friuli – Venezia Giulia per parlare della questione catalana e il futuro dell’Europa su invito del Gruppo Studi Storici e Sociali Pordenone, non fa sconti al Belpaese.
“Vedendo come procede – dice Argemì, che lo scorso anno era stato premiato dalla Provincia di Udine per la promozione della lingua della cultura e dell’autonomia del Friuli e delle altre Comunità linguistiche del territorio – la politica della tutela delle minoranze linguistiche nel vostro Paese, non posso che dare un cinque. Questa politica è deficitaria in tutti i sensi, con l’eccezione del Sudtirolo, la cui situazione dovrebbe essere la normalità in tutto il resto del Paese. E’ vero, esiste una legge a tutela delle minoranze linguistiche, ma non viene applicata e resta solamente qualcosa di simbolico”.
“Il friulano , così come altre lingue, si sta perdendo – continua Argemì – e, a livello sociale, si sta perdendo anche la coscienza del problema. Ci sono militanti che portano avanti la questione. Tuttavia, se la tutela delle lingue fosse realizzata, questa militanza non avrebbe motivo di esistere. Il centro del problema è che le lingue minoritarie sono viste come complementari rispetto a quella dominante. In questo modo, però, quelle lingue non hanno un futuro”.
Ma quale distanza c’è tra il Friuli – Venezia Giulia e la Catalogna, che può contare su una più forte autonomia? “Come noi – risponde Argemì – avete una vostra lingua, una vostra identità e una vostra storia. Avete, insomma, gli elementi basilari per andare avanti. Manca, però, una presa di coscienza sociale e politica a difesa di questi elementi. Una volta raggiunta, Friuli e Catalogna saranno molto vicini. Ma c’è ancora molta strada da fare”.
Il primo ottobre, la Catalogna andrà al voto sull’indipendenza da Madrid e qualcuno potrebbe pensare che un’autonomia forte porta dritta alla secessione. Insomma, che se agli autonomisti dai un dito, poi loro si prendono il braccio. “La nostra autonomia – replica il fondatore del Ciemen – ha 40 anni ed è stata un fallimento. Lo Stato ha sempre cercato di trasformarla in un semplice decentramento. Per questo si è deciso d’indire il referendum, decisione che ha l’appoggio di una grande maggioranza. E il governo spagnolo ne ha paura. Il nostro intento è di scattare una fotografia del volere dei cittadini catalani, anche di quelli che sono contrari all’indipendenza. La dichiarazione d’indipendenza da parte della Catalogna è una soluzione di ultima istanza. Il governo spagnolo ha ancora la possibilità di fare un accordo”.
Argemì parla anche di Europa. Un’Europa che sta scricchiolando non a causa delle istanze regionali. “A frammentarla – conclude il catalano – sono gli Stati, non le autonomie. Ciò che noi vogliamo è superare le divisioni, per raggiungere un’uguaglianza dei cittadini e dei popoli del continente, rispettando le identità di tutti. L’Europa dei popoli ha un futuro, quella degli Stati no”.
Tutela delle minoranze: “L’Italia merita cinque”
Aureli Argemì, del Ciemen di Barcellona, boccia il Belpaese: “La politica per le lingue minoritarie è deficitaria, con l’eccezione del Sudtirolo. La legge non è applicata, resta un simbolo”
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