“Immaginiamo i figli della giovane mamma, Aurelia, che tra qualche anno vorranno avere informazioni dettagliate in merito all’accaduto e inevitabilmente leggeranno le stesse notizie riportate dai giornali, che lasciano anche noi adulti, estranei alla famiglia, sgomenti e disorientati”. Inizia così la riflessione sull’omicidio di Roveredo in Piano della presidente della Commissione regionale per le Pari Opportunità, Dusy Marcolin.
“È più che comprensibile l’angoscia dei genitori dell’omicida, nel cercare di darsi una spiegazione, un perché… Una sorta di ‘dove abbiamo sbagliato, ci deve essere un motivo’. Ma non ci sarà mai nessun perché, nessuna motivazione o giustificazione, quando una vita viene spezzata così e due creature in tenera età vengono private della loro mamma e inevitabilmente anche del papà, oltre che del diritto sacrosanto alla serenità dell’infanzia. Pensiamo a loro e alla giovane mamma, al resto ci penserà la giustizia che dovrà essere severa e giusta”.
“Auspichiamo che la stampa e i media svolgano il proprio diritto di cronaca con grande rispetto per la vittima e attenzione a non sconfinare in quella attività investigativa propria degli operatori del sistema giustizia. Gli strumenti di comunicazione hanno il dovere di informare, ma in presenza di fatti così tragici va osservato il massimo scrupolo a tutela del diritto di riservatezza della vittima, della sua famiglia, dei minori e anche dei famigliari di chi si è macchiato di tale orrendo crimine. Informare in maniera attenta, in questi casi, è anche uno strumento idoneo a costruire quella cultura necessaria per prevenire il femminicidio”.
“Questa mattina ci siamo confrontate anche con la Presidente della Commissione Pari Opportunità del Comune di Pordenone Daniela Quattrone, che ha condiviso la nostra riflessione e ha aggiunto ‘Auspichiamo che la stampa occupandosi di crimini efferati come il femminicidio utilizzo sempre un linguaggio che non favorisca nella mente di legge facili stereotipi e preconcetti. Accostare parole come raptus, amore, passione ad un omicidio significa distorcere la verità dei fatti. Una vittima è sempre e solo vittima, così come i suoi figli che subiscono una violenza assistita e i loro familiari. Crediamo – conclude Quattrone – che anche le parole utilizzate, così come i titoli debbano essere portatori di rispetto e verità”.