Un centro che torni ad attirare residenti, una città che rinsaldi le sue cesure novecentesche causate da linee ferroviarie e siti industriali abbandonati, un capoluogo che sappia difendere gli interessi di un territorio molto più ampio dei propri confini amministrativi. Tutto questo è la Udine di Pietro Fontanini, il sindaco in carica dal 2018.
Che bilancio di metà mandato può fare?
“Questa amministrazione fin dall’inizio si è caratterizzata per l’avvio di una progettualità che consenta a Udine di diventare una città ancora più vivibile e sostenibile nei prossimi 5-10 anni. Questo significa guardare a obiettivi di medio e lungo termine in una visione generale, senza rincorrere interessi particolari immediati. Si tratta di un approccio che vuole essere più lungimirante possibile e, come spesso accade in politica, richiede del tempo affinché porti dei frutti concreti percepiti da tutti. Ne sono esempi la pedonalizzazione di via Mercatovecchio e il rifacimento di altri luoghi del centro storico affinché possa tornare attrattivo non soltanto per lo shopping, ma anche come luogo piacevole in cui risiedere. La conferma che la strada imboccata sia quella giusta viene dai diversi investimenti privati per la ristrutturazione di edifici di pregio. Vogliamo che la città e in particolare il suo centro tornino a essere attrattivi per abitarci e da questo ne beneficeranno anche le attività economiche. Altro esempio è il sistema di raccolta dei rifiuti porta-a-porta che intende aumentare il più possibile la differenziazione dei rifiuti, facendo il bene quindi dell’ambiente, ma che presuppone un approccio culturale diverso da parte degli stessi utenti, come già avvenuto nella gran parte dei comuni friulani di medie e piccole dimensioni. E sempre di lungo respiro è il piano di rigenerazione urbana dell’area ferroviaria ed ex industriale della città, il cui approfondimento consentirà di gettare le basi non solo per il futuro sostenibile di ben 40 ettari di tessuto urbano, ma anche per rilanciare l’intera città sotto l’aspetto sociale, culturale ed economico”.
Si tratta di iniziative, però, che hanno sollevato diverse polemiche, perché?
“Se uno vuole fare bene l’amministratore pubblico deve saper prendere delle decisioni che vanno oltre l’interesse dei singoli e oltre l’orizzonte temporale del proprio mandato. Questo significa anche essere bersaglio di critiche di parte, opportuniste e strumentalizzate dalle opposizioni. Purtroppo, fa parte del gioco. Però, mi sento anche di fare un’autocritica”.
Cioè?
“Da buoni friulani in questi due anni ci siamo molto concentrati sul ‘fare’ e, forse, meno sul ‘comunicare’. È comprensibile che certi percorsi che intendono ridare slancio alla città possano essere complessi e quindi più difficili da comprenderne i benefici di lungo periodo. Dobbiamo fare uno sforzo maggiore nella fase di spiegazione delle scelte fatte e del loro valore strategico”.
Udine può avere un ruolo regionale?
“Ancora oggi paghiamo care due riforme sbagliate dell’epoca Serracchiani. La prima è indubbiamente quella sanitaria che ha depotenziato le strutture pubbliche senza rafforzare l’assistenza territoriale. L’indebolimento di quella che era fino a qualche anno fa una sanità modello ha pesato, poi, anche sulla capacità di reazione all’onda pandemica, dalle dimensioni epocali certamente, ma che poteva essere affrontata con ancora maggiore efficacia. La seconda riforma disastrosa è quella delle autonomie locali con la cancellazione degli enti intermedi quali le Province, che in tutti i sistemi avanzati europei vengono invece potenziati, e la sostituzione con forme aggregative inconsistenti. Questo per il Friuli ha avuto come conseguenza diretta la perdita di una rappresentanza istituzionale unitaria, prima rappresentata dalle Province di Udine, Pordenone e Gorizia. Così se Trieste riesce a elaborare progetti di sviluppo di ampio respiro, grazie anche al sostegno di interessi internazionali legati al suo porto, il Friuli in questo momento storico rimane afono. La città di Udine, non tanto per le sue dimensioni ma soprattutto per il ruolo che la storia e la geografia da sempre le hanno assegnato, deve avere la forza di farsi carico degli interessi di un territorio molto più ampio dei propri confini amministrativi ed elaborare, assieme al territorio, idee di futuro per l’intero Friuli”.
Come intende farlo?
“Assieme all’Università di Udine, che sarebbe più corretto chiamare Università del Friuli, abbiamo voluto creare un gruppo di lavoro di alto profilo accademico e professionale che elabori nel giro di sei mesi delle proposte concrete per creare valore aggiunto sul territorio dal posizionamento logistico e industriale del Friuli stesso e, in tale contesto, per sviluppare progettualmente il piano di rigenerazione urbana denominato Udine2050, che ricordo fa riferimento all’obiettivo che la Commissione europea ha indicato per il raggiungimento dell’impatto climatico zero”.
Parliamo di cose più leggere, ci sarà quest’anno Friuli Doc?
“Certo, non abbiamo interrotto questa manifestazione, così importante per tutto il Friuli, neanche nell’anno più duro a causa della pandemia. Vorremmo che questa edizione sia all’insegna della rinascita”.
Uno sguardo lungo per la città e per il Friuli
Parla il sindaco Pietro Fontanini. I progetti avviati da questa amministrazione puntano a rendere Udine più vivibile e attrattiva per nuovi residenti
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