Chi ha visto e conosciuto il manicomio dopo il 1978 non può immaginare ciò che quell’istituzione aveva rappresentato fino ad allora.
Per il Paese, il 1978, è stato un anno di grandi cambiamenti. Pochi giorni dopo l’uccisione di Aldo Moro, il 13 maggio, il parlamento italiano emana la Legge 180, altrimenti nota come Legge Basaglia dal nome dello psichiatra che tra gli Anni ’60 e durante tutti gli Anni ’70, prima nel manicomio di Gorizia e poi in quello di Trieste, rivoluzionò la psichiatria. Una legge che divise l’opinione pubblica e il mondo politico, perché l’idea di “liberare i matti” non poteva non destare paura e apprensione.
Gli ospedali psichiatrici fino ad allora erano stati concepiti come spazi di esclusione e di emarginazione, dove erano relegate le miserie umane e la diversità, tutto ciò che per la società di allora andava nascosto al mondo. Luoghi di emarginazione e di dolore, dove spesso i malati venivano dimenticati persino dai propri cari. C’erano il reparto degli agitati, dei violenti e poi quello dei sudici, degli infermi e dei cronici. I malati, prima del 1978, venivano sottoposti a elettroshock e operazioni di chirurgia, come la lobotomia. Spesso chi varcava il cancello del manicomio non faceva più ritorno alla vita ‘normale’, finendo i suoi giorni imprigionato tra quelle mura.
La Legge 180 diede il via a una radicale riforma e riorganizzazione dell’assistenza psichiatrica ospedaliera e territoriale che, gradualmente, avrebbe portato negli anni successivi alla chiusura dei manicomi, oltre alla regolamentazione del Trattamento sanitario obbligatorio.
L’attuazione della legge 180, spettando alle Regioni, non è stata immediata, nè uniforme. Ogni amministrazione ha legiferato per conto proprio, con risultati eterogenei e spesso fallimentari. In alcuni casi non sono stati applicati i principi cardine della legge, determinando uno stato di abbandono e di degrado delle strutture manicomiali e dei malati. Soltanto nel 1994, con l’approvazione ‘Progetto Obiettivo, tutela della salute mentale 1994-95’, che delinea le strutture da attivare a livello nazionale, è stata attuata la definitiva riorganizzazione dell’assistenza psichiatrica. La Legge Finanziaria del 1995, che dispone la definitiva chiusura degli ospedali psichiatrici entro il 31 dicembre 1996, segna così la fine di un’epoca.
Seconda vita per i manicomi del Fvg
L’idea del manicomio di Sant’Osvaldo, a Udine, è del medico milanese Giuseppe Antonini, allievo di Cesare Lombroso, che nel 1903 concepì il progetto del primo esempio in Italia di manicomio senza cinta muraria. Un complesso sperimentale, che proponeva nuovi criteri di ergoterapia e di libertà per superare il disagio psichico, tra cui gli ampi spazi alberati con percorsi ottagonali a separare i diversi padiglioni. Fino agli Anni ‘80 il complesso occupava 50 ettari ed era uno dei maggiori insediamenti asilari in Italia insieme al San Giovanni di Trieste. Diversi gli ampliamenti realizzati dal 1906 al 1971, poi c’è stata la ristrutturazione post terremoto. Dal 1979 al 2012, infine, Sant’Osvaldo ha subito il lungo e complesso processo di dismissione e trasformazione. Ora l’area ospita il Centro di Salute mentale, un’area sanitaria medico-assistenziale, associazioni sportive, culturali e cooperative sociali, ma anche eventi culturali come ‘L’Arte Non Mente’, iniziativa che ogni anno trasforma il Parco dell’ex psichiatrico in una vetrina artistica, riaprendo le porte di alcuni reparti per celebrare il valore dell’inclusione all’interno di un luogo che fu, invece, di reclusione e isolamento.
“Dai luoghi della sofferenza a quelli della bellezza”: questo è oggi il Parco San Giovanni di Trieste. Inaugurato nel 1908, negli Anni ‘70 diventa il luogo dell’innovazione e del cambiamento grazie a Franco Basaglia e ai suoi collaboratori. L’ospedale e il Parco, da allora, si aprono alla città: i malati sono liberi di uscire e i cittadini di entrare. L’ex psichiatrico, dove la riforma dei manicomi ha avuto origine, oggi ospita una serie di realtà gestite dal Comune, dall’Azienda per i Servizi Sanitari e dall’Università. Il Parco Basaglia, a Gorizia, nato per abellire il manicomio, attivato nel 1933, è oggetto di un progetto di rigenerazione urbana in chiave storico e culturale.
L’antipsichiatria fece crollare i muri
A Udine, ai tempi della Repubblica Veneziana, fino al 1870, i folli venivano rinchiusi nel Manicomio di San Servolo, a Venezia, mentre l’ospedale di Udine si prendeva in carico solo i malati più lievi. Nasce poi il Manicomio femminile sussidiario a Lovaria, seguito dalla costruzione di diverse succursali a San Daniele, Palmanova e Sottoselva. Nel 1904 inaugura l’ospedale psichiatrico di Sant’Osvaldo dove, in 90 anni di attività, pare siano stati ricoverati oltre 100mila friulani. Donne, uomini e bambini. A Gorizia, nel 1962, lo psichiatra veneto Franco Basaglia mise in pratica un primo superamento del manicomio, applicando il modello della Comunità terapeutica, ma fu a Trieste che a partire dal 1971, sette anni prima della Legge 180, superò l’idea stessa di ospedale psichiatrico, rompendo gli schemi imposti fino ad allora.
Portò in Italia l’antipsichiatria, rifiutando il modello biologico della malattia. Mai più contenzione fisica, elettroshock, lobotomie ai malati, nè cancelli e lucchetti alle porte, ma una progressiva reintroduzione alla vita ‘normale’ anche per i ‘matti’. L’esperienza positiva delle comunità terapeutiche, seppur non priva di fallimenti e difficoltà, ha dimostrato la validità di questo tipo di approccio, vincendo le reticenze dei malati stessi, che temevano di non essere in grado di affrontare il cambiamento e di vivere liberi. In Fvg è con la riforma del Sistema sanitario regionale del 1994 che la storia del manicomio di Sant’Osvaldo e di Sottoselva, così come delle succursali di Ribis e di Gemona, ma anche di Gorizia e Trieste si chiude definitivamente. Il superamento del manicomio non è stato un percorso semplice, ma grazie alla collaborazione tra enti e associazioni che hanno creduto nella necessità di applicare un nuovo modello di servizi territoriali di Salute Mentale, è divenuto realtà.
Nell’immagine interna al testo il Manicomio di Sant’Osvaldo in un quadro del pittore decoratore, ritrattista e caricaturista Pio Cuttini (1903 – 1970), originario di Passons. L’opera, un olio di grandi dimensioni, custodita nella sala riunioni del Dipartimento di salute mentale dell’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Udine, rappresenta una veduta a volo d’uccello dell’ospedale psichiatrico nel 1948.