Influenza o Covid, è più facile essere contagiati in inverno che in estate. Questo a causa dell’umidità relativa che all’esterno è più alta nei mesi invernali. I modelli attualmente utilizzati (basati su studi degli anni ‘30 e ‘40 del ‘900) assegnavano un alto rischio di contagio solo alle gocce grandi, ipotizzando che quelle piccole evaporassero e scomparissero velocemente.
Ma una ricerca internazionale condotta dalla Technische Universität di Vienna e dalle Università di Padova e Udine dimostra che, a causa dell’alta umidità dell’aria che emettiamo e dal vapore prodotto dalle stesse gocce che evaporano, anche le gocce piccole possono rimanere sospese in aria molto più a lungo, virtualmente ore (come si vede nel video della simulazione). Inoltre, questo effetto è amplificato dall’elevata umidità invernale che rallenta ulteriormente l’evaporazione delle gocce e quindi aumenta il rischio di diffusione del contagio.
La ricerca, pubblicata dalla rivista scientifica internazionale PNAS, mira a sensibilizzare le autorità sanitarie pubbliche su questo specifico rischio d’infezione. Rischio che, secondo gli autori, è sottovalutato dalle attuali linee guida dei diversi istituti internazionali e nazionali preposti alla sanità.
“Le piccole goccioline sono infettive più a lungo del previsto, ma questo non dovrebbe essere motivo di pessimismo” spiega Alfredo Soldati, ordinario di fluidodinamica dell’Ateneo friulano e direttore dell’Institute of Fluid Mechanics and Heat Transfer della Technische Universität di Vienna.
“Ci mostra solo – sottolinea il professore – che occorre studiare tali fenomeni nel modo corretto per capirli. Gli strumenti di ricerca che abbiamo a disposizione adesso consentono di formulare raccomandazioni scientificamente valide, ad esempio per quanto riguarda le mascherine e le distanze di sicurezza. Il nostro team è ora al lavoro per sviluppare un modello semplificato per l’utilizzo in diverse situazioni”.