La sua fama accademica lo precede ovunque vada. Il cardiologo Attilio Maseri, dopo la laurea a pieni voti a Padova e la specializzazione alla Normale di Pisa, ha lavorato a Londra, ha insegnato all’Università Cattolica ed è stato direttore dell’Istituto di cardiologia del Policlinico Gemelli di Roma prima di diventare professore ordinario di cardiologia e direttore del Dipartimento cardio-toraco-vascolare al San Raffaele a Milano.
Nel triennio 2004-2007 è stato presidente della Federazione italiana di cardiologia. Nella lista dei suoi pazienti, troviamo i nomi della regina Elisabetta, di papa Woityla e di Oscar Luigi Scalfaro. Da due anni è tornato a tempo pieno in Friuli, nominato presidente dell’organo di indirizzo dell’Azienda ospedaliera di Udine, con il gravoso incarico di indicare le linee guida di riforma della sanità regionale.
Riforma della sanità della regione: a che punto siamo?
“L’Organo di indirizzo ha indicato alcune linee guida per riorganizzare la sanità del Friuli Venezia Giulia. Ora sta all’assessorato regionale prendere le decisioni. Ma lo scontro è con le stesse forze politiche che contribuirono a far eleggere i nostri governanti. La situazione è delicata”.
In altre regioni italiane sono scoppiati scandali sulle nomine ‘politiche’ ai vertici della sanità. Com’è la situazione nella nostra regione?
“È una situazione generalizzata in Italia. In Italia la politica entra in tutti i settori possibili. Per fare un esempio, in un certo periodo, a Milano, era il gruppo ex Cl che decideva tutto. In Fvg la situazione è più frammentaria, più fluida”.
Cosa comporta questa situazione?
“È un peccato, perché si potrebbe fare di più, realizzare molte cose utili”.
A cosa pensa?
“Alla riorganizzazione della sanità di area vasta, a quella degli ospedali periferici. Tutti i politici sono pronti a dire: ‘Salviamo il nostro ospedale’. Sono battaglie politiche, che tengono conto del risvolto elettorale, ma non considerano l’effettiva utilità di tali strutture”.
Come bisognerebbe intervenire, invece?
“Duplicare ciò che esiste già non serve. Bisogna utilizzare al meglio le potenzialità dei vari centri. Faccio un esempio: non serve che ogni ospedale periferico abbia sala e strumenti necessari all’angioplastica. Per questo bastano ospedali più grandi, i centri primari, in cui far affluire tutti i casi. Meglio sarebbe che le strutture più piccole abbiano le competenze necessarie a una corretta diagnosi, per convogliare i casi nelle cliniche specializzate. Basterebbe il buon senso per ottimizzare le risorse facendo quadrare il bilancio”.
Da dove cominciare la riorganizzazione?
“Dalla continuità delle cure. È fondamentale che, per ogni paziente, tutti i dati, le analisi, gli esami effettuati e le indicazioni terapeutiche siano in forma digitale e accessibili per i medici che lo hanno in cura, in regione, ma anche fuori. Sarebbe un passo avanti importantissimo”.
Cosa si oppone?
“Nel mondo della medicina ci sono troppi egocentrismi. È nella natura umana, ma gli interessi privatisti sono grossi ostacoli”.
Ha parlato di eliminare i ‘doppioni’. A cosa si riferisce?
“Non ha senso che negli ospedali che sono anche cliniche universitarie ci siano due reparti che so, di cardiologia o di pediatria: la fusione, che è già cominciata ma che spesso ha trovato una forte opposizione, è fondamentale. A Udine siamo a buon punto, ma non tutti i dipartimenti hanno ancora raggiunto la massima efficienza”.
È una strategia che riguarderà anche l’università di Udine rispetto a quella di Trieste?
“Necessariamente. È anche possibile che si raggiungano accordi in modo che almeno i campi di ricerca siano differenti nei diversi ambiti”.
Che fine farà l’ospedale di Gervasutta?
“Siamo in un periodo storico in cui siamo costretti a domandarci se è economico che il Gervasutta resti un’entità separata. La risposta la dobbiamo trovare conti alla mano e non in nome della tradizione o in virtù della prossima scadenza elettorale”.