Pediatri, specialisti di Medicina interna e psichiatri. Sono queste le categorie mediche a ‘maggior rischio estinzione’ nell’arco dei prossimi 10 anni secondo l’indagine effettuata dal sindacato medico Anaao-Assomed. Unica categoria ‘in positivo’ risulta essere quella dei radiologi che, al 2023, registrerà un aumento di 477 unità. Le previsioni circa il numero di specialisti che verranno a mancare nell’ambito del Servizio sanitario nazionale al 2023 sono state elaborate dall’Anaao sulla base del dato relativo ai pensionamenti previsti confrontato con i contratti di formazione messi in campo dal Ministero dell’Istruzione, Università e ricerca. Fra dieci anni, dunque, si determinerà un ‘buco’ di 3101 pediatri, ma anche di 1830 medici di Medicina interna e di 911 chirurghi.
Il Sistema sanitario nazionale (Ssn), quindi, potrebbe avere vita breve se non si correrà ai ripari.
Nei prossimi 10 anni mancheranno all’appello oltre 15.000 medici specialisti che operano nel Ssn poiché, a fronte del pensionamento di più di 58.000 tra medici dipendenti del Ssn, universitari e specialisti ambulatoriali, il numero dei contratti di formazione specialistica previsti dall’attuale programmazione sarà di 42 mila unità, ben al di sotto della soglia necessaria. Attualmente, i medici attivi in Italia sono circa 327.900 ed il personale medico dipendente del SSN ammonta a circa 116.000 unità. Il ‘buco’ che verrà a determinarsi, avverte il sindacato, rischia dunque di rivelarsi insostenibile. Una ‘bomba ad orologeria’, quella segnalata dall’Anaao, di cui il ministro della Salute Beatrice Lorenzin è consapevole: il problema della carenza del personale sanitario è infatti una delle questioni affrontate nel Patto per la salute e più volte il ministro ha sottolineato la necessità di ”programmare il fabbisogno di medici sul territorio e, su tale base, fare anche una valutazione dei corsi universitari e di specializzazione”. L’Anaao, da parte sua, sottolinea come l’unica via d’uscita sia mettere mano alla programmazione sanitaria passando per la soluzione di due urgenze: l’imbuto formativo e il precariato medico.
L’imbuto che si è creato tra numero annuo di laureati in medicina, ”crescente grazie a miopia delle politiche di accesso ed invasioni del TAR”, e posti nelle specializzazioni, ”in progressiva riduzione a causa dell’esiguità delle risorse economiche rese disponibili dalla legge di stabilità”, rileva il sindacato, ”ha già creato ampie sacche di disoccupazione e sottoccupazione medica e blocco formativo: è evidente che impedendo alle nuove generazioni di medici un accesso al SSN, di fatto si vuole costringerle a cambiare Paese minando lo stesso Sistema”.
Da qui la proposta Anaao di prevedere il 50% della durata della specialità con contratto di formazione specialistica in ambito universitario e 50% in ambiente extra-universitario senza l’obbligo di aver già conseguito il titolo di specialista, e frequenza finale di 6 mesi nella sede ospedaliera. In concreto, spiegano i medici, ”pensiamo che aumentare il numero di studenti al corso di laurea in Medicina non risolva il problema della prossima mancanza di medici, perché i primi risultati si vedrebbero solo dopo 10-11 anni”. La strozzatura è data invece dall’imposizione del titolo di specializzazione come requisito di accesso al sistema. Occorre, pertanto, afferma l’Anaao, ”anticipare l’incontro tra mondo della formazione e del lavoro, oggi estranei l’uno all’altro”.