Alla guida dei primari. Si può sintetizzare così l’elezione di Gianpiero Fasola, direttore del dipartimento dell’azienda ospedaliero universitaria di Udine, a presidente del Cipomo, il Collegio italiano dei primari oncologi medici ospedalieri. Una figura, quella di Fasola, legata a doppio filo con la Sanità del Fvg. Sua, infatti, è la riforma degli Anni ’90 che ridisegnò, non senza polemiche sul territorio, il sistema ospedaliero della regione.
Presidente, quali sono le sfide che attendono gli specialisti della lotta contro i tumori?
“La nuova ‘frontiera’ dell’oncologia riguarda il trasferimento a tutti i pazienti dei progressi avvenuti sul piano clinico e professionale: nuovi farmaci, nuove procedure e nuove modalità di erogazione delle prestazioni sanitarie. Dobbiamo assicurare la continuità delle cure, l’umanizzazione dei servizi e, in generale, favorire un’organizzazione a rete sul modello di alcune realtà italiane”.
Quali sono gli ostacoli?
“Alcune innovazioni hanno un costo molto elevato che non è facile sostenere in un momento di crisi. L’importante è riuscire a far stare assieme l’accesso dei pazienti alle cure con il contenimento dei costi. Per raggiungere l’obiettivo, si devono limitare i costi evitabili per attività che non danno benefici. Il margine c’è e le società scientifiche degli oncologi hanno già prodotto documenti con utili indicazioni”.
E’ sufficiente questa strategia per contenere i costi?
“Probabilmente no. E sarà inevitabile il trasferimento di risorse da altri ambiti della Sanità, dal momento che l’utenza oncologica è in crescita. La prevalenza (numero di persone con diagnosi di tumore) è in crescita. Ciò è determinato da un calo della mortalità, unito a un aumento dell’incidenza (nuovi casi). La minore mortalità è dovuta anche ai nuovi approcci terapeutici. In particolare, si sta passando dalla chemioterapia alla terapia con farmaci biologici, più personalizzati e specifici sia per il paziente, sia per le patologie. Sull’incremento dell’incidenza influiscono l’invecchiamento della popolazione e la diffusione delle indagini di prevenzione secondaria (screening)”.
Quanto ‘pesano’ le neoplasie sulla salute dei friulani?
“Molto. Sono la seconda causa di morte dopo le malattie cardiovascolari. Queste ultime sono in calo, grazie alla prevenzione che patologie limita i fattori di rischio. In alcuni Paesi europei, mi riferisco all’Olanda, i tumori sono diventati la prima causa di morte. E ciò sta accadendo anche in alcune aree della Toscana”.
Cosa si potrebbe fare in Fvg per migliorare i risultati nel campo dei tumori?
“Il Fvg ha una buona struttura nel suo insieme. Il registro dei tumori è attivo, così come gli screening. Tuttavia, credo si debba intervenire sull’organizzazione dei servizi. Il sistema attuale risale a 15 anni fa e va aggiornato. Si potrebbe costruire una rete oncologica regionale sul modello delle migliori esperienze italiane, per dare più omogeneità e qualità complessiva alle cure. Importante è, in questo come in altri campi, la messa in rete delle competenze. Sempre più spesso lavoriamo per sottospecializzazioni, per organo e apparato interessato dalle neoplasie. Serve un confronto più ampio tra i professionisti, al di là della singola azienda in cui si lavora. Inoltre, si devono mettere in connessione le conoscenze di altri professionisti che operano nel settore delle neoplasie (chirurghi, patologi, radiologi). Oggi le soluzioni terapeutiche non provengono quasi mai da un solo professionista. Questo è un ulteriore elemento di complessità”.
Cosa possono fare i cittadini per diminuire i rischi?
“Se domani mattina si smettesse di fumare, alcune neoplasie frequenti diventerebbero rare nel giro di pochi anni. Sempre più segnalazioni sulla letteratura scientifica, poi, puntano su corretti stili di vita. Per l’alimentazione, i consigli migliori riguardano la minor assunzione di grassi animali e il maggior consumo di frutta e verdura. Inoltre si deve fare più attività fisica per combattere l’obesità. Va detto che tali comportamenti possono non bastare, poiché esistono fattori genetici di predisposizione. Tuttavia anche in questo caso la conoscenza di alterazioni trasmissibili su base ereditaria può favorire una prevenzione ‘personalizzata’”.
Veniamo all’umanizzazione delle cure. Quali sono i passi da fare in questo senso?
“Diciamo subito che nel nostro sistema sanitario c’è attenzione a questi aspetti. Molte segnalazioni scientifiche sottolineano le necessità di comunicare meglio con il paziente (diagnosi, prognosi e terapia) e di prendersi cura delle persone anche fuori dall’ospedale. Si deve pensare a un maggior supporto ai pazienti e alle famiglie. Inoltre, spesso c’è un eccesso di trattamento nelle fasi finali delle malattie neoplastiche. E’ stato dimostrato che, in alcuni casi, un approccio più attento ai sintomi e meno al trattamento oncologico specifico può dare un beneficio misurabile ai pazienti. Insomma, meno accanimento terapeutico e più attenzione alla qualità dell’esistenza possono perfino prolungare la vita”.
Lei è il padre della riforma della Sanità friulana negli anni ’90. Dopo quasi 20 anni, rifarebbe tutto quello che ha fatto o cambierebbe qualcosa?
“Rivedendo le esperienze passate, si trovano sempre margini di miglioramento, ma ripensiamo a quel periodo: in meno di 2 anni la Giunta e il Consiglio regionali (sempre con ampie maggioranze) hanno approvato il riassetto istituzionale (legge 12 del ’94, che trasformò le Usl in 6 Ass), la riorganizzazione della rete ospedaliera (legge 13 del ’95), l’istituzione dell’Agenzia regionale per la Sanità (legge 37 del ’95), la normativa sulla disabilità (legge 41 del ’96) e la modalità di programmazione (legge 49 del ’96): si è trattato di una piccola rivoluzione. La Regione non ha mai approvato così tante norme in poco tempo. L’errore è stato compiuto dopo, a metà del decennio scorso, quando non si è aggiornato il Sistema. L’evoluzione delle conoscenze in campo medico è molto rapida, mentre i tempi delle scelte politiche sono lentissimi. In Fvg, la distanza tra progressi sanitari (clinici, professionali, scientifici e organizzativi) e sistema oggi è molto ampia. Auguriamoci che il problema sia presto affrontato”.
Per ora, il sistema sanitario regionale è sostenibile, ma i risultati sono, anno dopo anno, sempre meno positivi. Ha suggerimenti da dare?
“In Fvg ci sono molti margini di miglioramento. Ci concediamo lussi inammissibili altrove, con una ridondanza di servizi che non portano beneficio al paziente. Penso al numero delle Ass (ne basterebbero 3 o 1), ai punti nascita o alle 4 centrali operative del 118. La Lombardia ne ha una sola e al minor costo si coniuga un miglior servizio. Nella nostra regione, piccoli territori hanno strutture che dovrebbero servire ambiti più ampi, non solo nella Sanità, ma anche nella pubblica amministrazione. Non possiamo permetterci che in casa manchi l’acqua e che in cantina ci siano botti di champagne che perdono”.
Qualche altro esempio?
“Nel primo ospedale del Fvg (quello di Udine) abbiamo servizi di eccellenza, per esempio la neuroradiologia, che serve una delle neurochirurgie più qualificate d’Italia. Eppure, si fatica ad avere sufficienti risorse affinché funzioni a regime. In Regione si fanno attività di chirurgia toracica in 3 sedi. Nel Sistema ci sono squilibri che non garantiscono l’efficienza di alcuni pezzi della Sanità. Il nuovo assessore regionale conosce i problemi dall’interno: saprà intervenire in maniera concreta”.
Quando lei lasciò la politica nel 2002 (era Consigliere regionale nel Gruppo della Lega), affermò che “4 Province e 219 Comuni danno a questa regione un assetto debole e superato”. Viste le discussioni attuali, non le viene la tentazione di dire ‘ve l’avevo detto’?
“Dire ve l’avevo detto è sempre antipatico. Tuttavia, la Lega Nord, costruita in Friuli all’inizio degli Anni ’90 da Roberto Visentin, ebbe intuizioni e propose soluzioni che, a 20 anni di distanza, si rivelano solide. E’ un peccato non averle realizzate. Nel 2013, tutti hanno capito che mantenere la struttura attuale significa buttare denaro e privare i cittadini di risorse importanti per i servizi. La ristrutturazione dell’assetto degli enti locali è necessaria. So che l’assessore Panontin è in linea con queste valutazioni. Spero possa fare qualcosa”.
Ripetendo le sue parole di allora, “c’è la politica che guida e quella che si fa guidare dalle lobby”. Quella attuale a che categoria appartiene?
“Spero nella prima ipotesi, ma ciò si può valutare solo a posteriori”.
Pensa mai di tornare in politica?
“No, sono contento del lavoro che faccio e non ho tempo di coltivare altre aspirazioni. Spiace che, in questi anni, sia stato difficile per tanti professionisti dare il proprio contributo per fare uscire il Friuli dal suo conservatorismo patologico. Ci sono Comuni che da soli stanno decidendo di fondersi, ma solo spinti dalla necessità, non grazie a un processo politico che guidi tali cambiamenti. Se nel ’93 avessimo lasciato le Usl, avremmo risparmiato le pietre di Osoppo, ma il nostro sistema sanitario sarebbe rimasto al medioevo”.
Hubert Londero
8 luglio 2013