Alcune varietà di grano coltivate tradizionalmente sono state recentemente riscoperte. Una di queste cultivar, chiamata ‘grano Senatore Cappelli’, si coltiva infatti tuttoggi nella sue zone di vocazione: Puglia, Basilicata e Sardegna, dove piccoli pastifici artigianali permettono di riscoprire una farina di ottima qualità e a basso contenuto in glutine.
Inoltre, date le esigenze di un numero sempre più grande di consumatori che risultano intolleranti al glutine, anche dei pastifici industriali hanno messo in produzione questo grano, che si trova in commercio quindi con un range di prezzi dal più sostenuto al più accessibile.
«Il grano Senatore Cappelli –spiega Maddalena Bolognesi, naturopata e nutrizionista presso l’erboristeria e bottega bio Albero Magico- è una pasta con buon tenore proteico, simile al kamut, e se la si sceglie integrale ha un ottimo contenuto di fibra, utile per il suo effetto saziante e il minore impatto sull’indice glicemico. Si può mangiare anche come chicchi, al pari di orzo, riso e altri cereali, preparando degli stuzzicanti “granotti” o delle insalate fredde di grano estremamente gustose».
Questa varietà molto rustica di grano era ampiamente impiegata fino agli anni Cinquanta, ed è poi caduta quasi in disuso negli ultimi decenni, con il boom dell’industria alimentare, che predilige varietà di grano ricche in glutine e botanicamente di misura bassa, ovvero adatta sia al gusto imposto dal consumismo alimentare che alla meccanica delle mietitrebbie.
Anche in Friuli Venezia Giulia, abbiamo storie di cereali in disuso.
Ad esempio, fino agli anni Sessanta il grano saraceno era impiegato in alternanza ad altri cereali e legumi, come miglio o lupino, nell’agricoltura di rotazione, un tipo di agricoltura che stimolava la fertilità del terreno e la ricchezza dei minerali che compongono il suolo: nello stemma del Comune di Sutrio, ad esempio, il disegno delle spighe incrociate di grano saraceno dimostrano che in Carnia questo cereale apparteneva alla tradizione locale.
«Come sappiamo -osserva Maddalena Bolognesi- oggi si tende a coltivare delle varietà selezionate che, non essendo rustiche, hanno bisogno di antiparassitari e trattamenti chimici per adattarsi a terreni di dove non sono solitamente originarie. Nel tempo, quindi, si è persa la tradizione di cucinare i cereali antichi e propri di una regione proprio perché se ne è persa la coltivazione. Il grano saraceno tipico anche delle zone montane, ad esempio, è di struttura alta e quindi non funzionale alla misura delle macchine agricole usate nell’agricoltura moderna per la raccolta. Ecco perché all’agricoltura biologica, fatta di passione verso la Natura, di sapienza artigiana e di lavoro manuale, spetta anche il ruolo di tornare a valorizzare queste varietà che altrimenti andrebbero perse».
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