Un altro sabato di proteste a Udine. Questa volta a scendere in piazza saranno i rappresentanti delle categorie che ruotano attorno al mondo della musica, del teatro e dell’intrattenimento. Sabato 13 giugno, alle 15, piazza XX Settembre si riempirà di attori, cantanti, musicisti, danzatori e dei tecnici del comparto dello spettacolo. “Non lasciamo che il silenzio assordante che schiaccia stadi, teatri, palazzetti e sale concerti arrivi anche nelle nostre piazze!”.
I referenti di una delle categorie lasciate più in ombra dall’inizio dell’emergenza Covid-19 proseguono il loro ‘stato di agitazione permanente’ lanciato a fine aprile dal Coordinamento nazionale di realtà, collettivi e movimenti autonomi indipendenti.
Generalmente, lavorano senza tutele e a intermittenza. Proprio per questo, chiedono la creazione di un albo professionale e l’istituizione di un reddito di continuità per chi non sia riuscito a ottenere dallo Stato alcun sussidio. Ma sabato si manifesterà anche per chiedere al governatore Fedriga di allentare le disposizioni previste per il mondo dello spettacolo.
La speranza, infatti, è che l’ordinanza regionale, attesa per il 15 giugno, amplii la platea degli spettatori consentiti durante gli eventi, soluzione che potrebbe permettere lo svolgimento di molti più concerti e show in regione, garantendo alla categoria almeno alcune delle entrate che avevano preventivato prima dell’arrivo del virus. “Essendo noi una Regione a Statuto Speciale – spiegano i referenti del movimento regionale -, chiediamo alle Istituzioni di creare un tavolo di confronto tecnico-istituzionale per la creazione di un sistema virtuoso regionale della cultura e dello spettacolo, che tuteli e sostenga le eccellenze di oggi e di domani”.
Il ‘manifesto’
Siamo quelle e quelli che trasportano, caricano, scaricano e montano i palchi e le strutture degli spettacoli e dei concerti. Siamo quelle e quelli che collegano i cavi, allacciano la corrente, fanno funzionare audio, luci e video. Siamo quelle e quelli che su quei palchi suonano, recitano, parlano, vi intrattengono.
Siamo le e i DJ, buttafuori, baristi, piccoli gestori di club e discoteche, lavoratori dei musei e dei teatri, titolari di service di vario genere, cooperative, partite IVA, dipendenti, consulenti, collaboratori, persone e piccole e medie imprese che vivono di spettacolo, cultura e intrattenimento. Spesso siamo invisibili, spesso siamo sottopagati, spesso non abbiamo indennità, ferie, diritti.
Siamo divisi e frammentati da sempre, spettacoli e cultura nel nostro Paese sono comparti da sempre avanguardia di precarietà e flessibilità, anche per natura stessa delle produzioni effimere nelle quali lavoriamo e grazie alle quali viviamo.
Siamo spesso visti con invidia da chi pensa che siamo fortunati a vivere delle nostre passioni: è vero, spesso abbiamo fatto delle nostre passioni strade per soddisfare le nostre necessità. Ci è costato e ci costa tanto, e questa è la parte che nessuno vuole vedere: formazione, studio, sacrifici di tempo e finanziari, tentativi e fallimenti, notti in bianco e turni massacranti che non finiscono mai.
Il nostro tempo è spesso scandito non da orologi ma da clessidre, si parte a quell’ora succeda quel che succeda, “the show must go on” sempre, il pubblico aspetta ma pretende, poi se ne va e qualcuno resterà altre ore, se non giorni, a disallestire per poi far ripartire il circo verso altri lidi. E via da capo.
Adesso la crisi del lockdown ha fermato il nostro tempo. L’ha fatto prima di molti altri comparti produttivi, teatri, cinema, musei, sale da concerto, club sono stati fra i primi a fermarsi in Italia (assieme alle scuole, ci preme ricordarlo). E’ ora evidente che saremo forse gli ultimi a ripartire, si parla addirittura del 2021 ormai.
Questa sospensione ci dà una grande occasione, quella di sederci a parlare fra di noi e con il mondo esterno a noi, si sente parlare da più parti delle esigenze basilari che dovranno essere soddisfatte, esigenze di sindacalizzazione, contratti nazionali, minimi salariali, diritti, misure concrete di sostegno ai nostri redditi troppo spesso saltuari e legati unicamente alla produzione stessa. In pratica siamo sempre al cottimo, se si lavora si mangia, se no no.
Già da alcune parti ci dicono che per favorire la ripresa del settore dovremo accettare qualsiasi condizione, qualsiasi ribasso “tanto per voi adesso sarà importante intanto lavorare”. Nossignori. Non a qualsiasi costo. Rimettiamo al centro le nostre vite, i nostri diritti, la gioia di salire su un palco ma anche quella di tornare a casa, vivi, interi, sani e ben pagati.
Non lavoreremo mai più a “ogni costo”, non ci piegheremo più a chi ci ricatta “perché tanto c’è la fila fuori” o perché “fai questo lavoro così e poi il prossimo vedrai ti porto alla celebrità” o ricatti ancora più viscidi. Sia chiaro che non c’è spazio nel nostro mondo per sessismo, razzismo, esclusione.
Lo vogliamo dire forte perché siamo una grande famiglia, da qualsiasi parte del mondo si provenga o quale che sia il tuo genere ed orientamento sessuale siamo tutti sorelle e fratelli, uniti nella buona e cattiva sorte, al riparo di un teatro stabile o sotto la pioggia su un palco all’ultima delle feste di paese. A questo proposito vogliamo ricordare che le e gli stranieri che hanno perso il lavoro in questi mesi stanno concretamente rischiando di perdere anche ogni diritto a restare in Italia (che in alcuni casi può significare anche la differenza fra la vita e la morte), vogliamo che sia fatta una sanatoria immediata per chi sta rischiando la clandestinità per colpa della crisi, o meglio per l’assenza di politiche migratorie serie e finalmente slegate dal ricatto lavorativo.
Vogliamo che si parli subito di misure concrete e urgenti di sostegno UNIVERSALE al reddito. Vogliamo che si parli subito di come potremo riempire di nuovo teatri, scuole, musei, cinema, club, palazzetti, piazze e strade lavorando in SICUREZZA e con la tutela della nostra SALUTE. Sempre, per sempre. Vogliamo che questo primo maggio sia un’occasione per rinnovare il ricordo dei nostri colleghi che hanno perso la vita facendo questo lavoro. Perché ciò che è successo a Francesco Pinna, Matteo Armellini e a Khaled Farouk Abd Elhamid non capiti mai più.
Il nostro pensiero va anche alle persone che lavorano nel turismo, nella ristorazione, in tutti quei comparti produttivi che vivono grosse incertezze come noi in questo momento, a tutte e tutti i precari, sottopagati, le micro e piccole imprese e cooperative che agonizzano sotto pesi fiscali impossibili da sostenere, i senza reddito, i senza casa, i senza diritti. Sappiamo di non essere i soli a soffrire, non vogliamo neanche essere soli a lottare e far sentire le nostre voci.
Riempiamo le nostre strade, le nostre piazze di mini e micro manifestazioni (a distanza e in sicurezza, sia chiaro), flash mob, performance, striscioni, colore e gioia, volantini, comunicazione.
Rivendichiamo il reddito di quarantena, misure universali per tutti, rivendichiamo la tutela della nostra salute e della nostra sicurezza. Facciamolo ora, il nostro tempo è ora e comincia adesso.