“Penso che un sogno così…” titola la locandina del Giovanni da Udine che riporta l’inizio del “Volare” di Domenico Modugno, canzone di successo planetario. E sotto il titolo di copertina, figura Giuseppe Fiorello con alle spalle due chitarristi, intenti a suonare. D’acchito, si pensa: un attore, peraltro dotato di splendida voce, che ricorda un mito. Ci può stare. Ma l’impressione non rende giustizia al nucleo centrale attorno al quale ruota lo spettacolo, nel corso del quale, per più della sua metà, Beppe racconta la storia di una famiglia siciliana, la sua, la cui straordinarietà risiede proprio nel fatto di non contenere nulla di straordinario.
E qui si sviluppa la magia dell’affabulatore capace di tenere agganciata l’attenzione dello spettatore nonostante le vicende presentate siano d’ordinaria amministrazione, raccontate solo con lui in scena, per oltre due ore e nello sproporzionato spazio di un enorme palcoscenico da opera lirica, sia pure con sullo sfondo la presenza sonora dei due chitarristi, di alta caratura, Daniele Bonaviri e Fabrizio Palma.
Modugno entra nelle memorie di Beppe Fiorello a partire dalla sua prima infanzia, inoculato dall’amatissimo padre che “ha avuto il coraggio”, espressione di Beppe, di non emigrare da una terra amara e di mettere al mondo quattro figli. Questo padre, appassionato ammiratore di mister Miliardo, ci sono ancora le lire, ne canta da mane a sera i successi. Così come Beppe ripropone agli udinesi con intensità, soprattutto lungo lo scorrere della parte finale dello spettacolo.
Nessun tentativo d’imitare l’inarrivabile Modugno e anche se non voluto, ci si avvicina molto per timbrica e per forte somiglianza fisica. Due, fra le più sentite e non recitate emozioni, trasmesse da Fiorello: quando dall’alto del palcoscenico scende, come in volo d’atterraggio, la giacca originale color azzurro petrolio che Modugno indossa a San Remo, quando vince con “Volare”. Giacca poi indossata con religiosità da Beppe.
E quando dopo una recitazione intrisa di affetti, d’ironia, di comicità non istrionica, descrive e mima con delicatezza la morte del padre, avvenuta nel corso di una festa di Carnevale: “Con il sorriso sulle labbra”.