Clownerie, comicità, dramma, filosofia e attualità sono le differenti cifre stilistiche che si ritrovano in un testo complesso come ‘La fine dell’inizio’, dell’autore irlandese Sean O’Casey, che ha debuttato giovedì 17 e sarà in replica fino al 20 gennaio sul palco del Teatro Nuovo Giovanni da Udine.
A guidare l’allestimento Cesare Lievi, ex-sovraintendente del ‘Teatrone’, che ha scelto un testo mai rappresentato prima in Italia, per la co-produzione fra il Css e la Fondazione Teatro Nuovo, con protagonisti Ludovica Modugno, Graziano Piazza, Stefano Santospago.
‘La fine dell’inizio’: un titolo complesso per un testo che lo è ancora di più.
“Diciamo che ha diversi piani di lettura, dalla comicità immediata, fisica, alla ‘Stanlio e Ollio’, fino alla teologia. Al centro della vicenda di Darry Berrill, sua moglie Lizzie e del vicino di casa Barry Darrill, ci sono l’origine del mondo, la cacciata dal Paradiso terrestre, i ruoli biblici del primo uomo e della prima donna, mentre la ‘fine’ sarà il caos generato dall’assenza del femminile nella nostra società, con la prevalenza di violenza, volontà di potere e cinismo”.
Dopo ‘Il vecchio e il cielo’ e ‘Il principe di Homburg’ questo è il terzo spettacolo prodotto al ‘Giovanni da Udine’. Pensa che questa esperienza potrà continuare anche senza di lei?
“Saranno i soci del Consiglio di amministrazione a decidere. Alle condizioni attuali, però, il teatro non mi sembra in grado di produrre spettacoli a livello nazionale né tantomeno internazionale”.
Il motivo?
“Principalmente le ingerenze del presidente Mizzau. Al Giovanni da Udine andrebbero chiariti meglio i ruoli: il presidente, di nomina politica, non può fare quello che spetta al sovraintendente, e viceversa. Finchè sussisterà questa situazione, qui non si riuscirà a lavorare”.
Al momento della sua nomina, però, le premesse erano diverse.
“Assolutamente si. È stato Mizzau a ribaltare tutto. Ed è per questo che ho dato le dimissioni”.
Ha dei rimpianti?
“Anche se l’esperienza è stata molto importante per il teatro friulano, per me personalmente rischiano di essere tre anni buttati via”.
Si rimprovera qualcosa?
“Forse di non essermene andato via prima”.
Che ne sarà degli spettacoli già prodotti? Continueranno le tournèe?
“Di nuovo non sta a me decidere. Certo è che grazie al mio nome si sono aperte porte, come il Piccolo di Milano o l’Argentina a Roma, ad esempio, che il Giovanni da Udine non aveva mai varcato prima”.
Che futuro immagina per il ‘Teatrone’?
“Credo si punti a una gestione mediocre, meno complessa e meno ambiziosa. E’ arduo pensare, poi, che qualche altro professionista accetti il ruolo di sovraintendente a queste condizioni”.
Valentina Viviani
19 gennaio 2013