Nell’immaginario collettivo, Luca Carboni è una delle stelle del pop italiano, ‘onorificenza’ guadagnata però sul campo, con decenni di successi di hit entrati nella storia, dopo una gavetta nella Bologna ‘alternativa’ fine ’70-primi ’80. Il suo ultimo album ‘Pop-up’ lo ha riportato in tour – oltre che sugli schermi delle Tv musicali superstiti, con i primi due singoli – e venerdì 22 sarà al ‘Deposito’ di Pordenone.
Scegliere i club è un po’ un ‘ritorno alle origini’? In fondo, pochi se lo ricordano, ma come Piero Pelù e Raf, hai esordito in area ‘new wave’, quando il club era tutto…
“Sì, è così. In più, ho sempre continuato a frequentare i club, per andare ai concerti degli altri, anche di musica ‘alternativa’. Mi è tornata la voglia di vivere il concerto col pubblico molto vicino, quasi in simbiosi con l’artista. Tieni conto che questo sarà un live molto ritmico, rock, elettronico ed electropop, e il ‘Deposito’ ha il palco molto basso, quasi ad altezza uomo: me lo ricordo bene, ci son stato 15 anni fa”.
Qual è la lettura giusta del titolo del nuovo album?
“Sai quei libri per bambini con le pagine che si aprono? Ecco: mi piaceva l’idea di poter aprire un cd – finché ce ne saranno – e avere la sorpresa di qualcosa di nuovo che ti arriva. Un gesto molto fisico. Poi, ‘Pop-up’ è anche la somma di due album degli U2 e dei Rem che mi piacciono molto”.
Il pop in Italia è molto diffuso, spesso discusso, ma in realtà difficilissimo da fare. E’ così?
“Non è un genere, ma si trova all’interno di altri generi, anche il rock. Farlo bene è difficile, certo: devi avere voglia di far arrivare alla gente il gusto di conoscere, di provare a scoprire altro”.
A proposito di riscoperte: sei partito come autore per gli Stadio, ora scrivi per artisti agli antipodi, da Mengoni a Jake La Furia…
“Negli ultimi anni ho ritrovato lo stimolo: sento l’esigenza di scrivere per altri artisti, ma mi piace anche cantare pezzi non miei”.
Hai lavorato con tanti big, molti dei quali tra le stelle assolute della canzone italiana: i ricordi più belli?
“Difficile scegliere. Mi ha emozionato tanto, anche se non c’è stato un duetto vero e proprio, il video girato con Claudio Lolli per la mia versione della sua ‘Ho visto anche zingari felici’, per l’album ‘Musiche ribelli’. Viviamo a Bologna, ma non ci incontriamo mai!”.
La tua, anzi nostra generazione aveva punti di riferimento precisi, da Battisti a De Gregori, da Venditti a Finardi. Oggi le possibilità sono moltiplicate, ma manca una ‘linea’ comune. Può essere un problema?
“Non è un momento eccezionale per il mainstream. Il pop non si è rinnovato in Italia con personalità e nuovi linguaggi. Siamo in stand by, ma credo che se c’è qualcuno che ha qualcosa di nuovo da dire, può essere l’occasione giusta, specie per i giovani: io li ascolto, anche quelli meno noti. Magari è da loro che arriverà il cambiamento: sicuramente non dai talent”.