“Credete a me, che ho trascorso gli ultimi due mesi a New York: decidere di andarsene dalla Carnia significa rinunciare a una qualità della vita straordinaria”. Dante Spinotti, tra i direttori della fotografia più apprezzati di Hollywood, due volte candidato all’Oscar per i film ‘L.A. Confidential’ (1997) e ‘The Insider’ (1999), in questi giorni è tornato nella sua casa di famiglia di Muina di Ovaro, dove ama trascorrere i momenti di pausa tra un ciak e l’altro.
Il documentario ‘Inchiesta in Carnia’, prodotto da lei e dalla Cineteca del Friuli, che da un lato cattura la bellezza del paesaggio naturale, dall’altro mette in rilievo il problema dell’abbandono della montagna, soprattutto da parte dei giovani. Com’è nata l’idea di questo lavoro?
“34 anni fa ho realizzato con Sergio De Infanti il documentario ‘La Carnia tace’, titolo che richiama quello di una poesia di Pasolini. Tace perché non risponde alle spinte culturali della pianura. Qualche amico in tempi recenti mi ha invitato a fare un nuovo lavoro. Riflettendo sullo spopolamento della montagna, mi sono chiesto perché la gente lasci questi posti, considerati difficili da vivere, per spostarsi in città o in pianura. Mi interessava, in particolare, il fatto che in questo allontanamento non si considerasse ciò che ci si lascia dietro: il presente e la storia della propria famiglia, una qualità della vita straordinaria, forti valori, bellezze architettoniche, paesaggistiche e ambientali. Questo lavoro è nato così”.
Il linguaggio è quello dell’inchiesta, ma le immagini, unite alle testimonianze, si trasformano in poesia cinematografica…
“A me interessava raccogliere le testimonianze delle persone. Poi, per rendere un documentario da 80 minuti più godibile, ho inserito un po’ di cinema, la bellezza e la poesia della Carnia. C’è una sequenza di cui sono molto contento: una corsa in macchina da Ovaro a Tolmezzo. Le riprese sono state fatte due mattine all’alba. La scena è stata girata per dimostrare che non è, poi, così difficile spostarsi da un paese all’altro della Carnia”.
Qual è la prospettiva che ha scelto per girare questo documentario?
“Volevo raccogliere il senso di una cosa, trasferire emozioni. Non è un documentario di attualità e non ho seguito il metodo dell’inchiesta. Ho iniziato a raccogliere interviste in Carnia assieme a mio figlio Riccardo ogni volta che venivamo qui, nei periodi di pausa lavorativa. È andata avanti così per tre anni. Ho avuto il vantaggio di girare nelle varie stagioni dell’anno”.
Si parla spesso in regione di politiche per la montagna. Anche sulla base delle testimonianza che ha raccolto, che idea si è fatto in merito?
“Il problema è che le politiche per la montagna devono farle i montanari. Bisogna che nascano sul territorio, nei Comuni e che poi vengano sviluppate. Il fatto di aspettarsi sempre un aiuto esterno, che venga dalla Regione o dallo Stato, deve essere superato”.
La luce della Carnia l’ha influenzata: la si ritrova nelle sue pellicole?
“Sì, certamente. La luce della Carnia è straordinaria. Si tratta di un territorio notoriamente molto piovoso e durante le giornate di sole la luce è assolutamente strepitosa: spicca un verde che non si trova altrove e i colori esplodono in un’armonia e una grazia speciali. Qualcuno ha detto che la scena iniziale de ‘L’ultimo dei Mohicani’ è così com’è per il fatto che il direttore della fotografia è carnico. Confesso, però, che quell’inquadratura non l’ho fatta io…”
Qui ho trovato tecnici degni di Hollywood
Per la lavorazione di ‘Inchiesta in Carnia’, che presto uscirà in dvd, Dante Spinotti ha cercato collaborazioni con professionisti locali, dichiarando poi di aver ottenuto risultati straordinari.
Ha detto che farebbe un lungometraggio hollywoodiano con maestranze carniche. Conferma?
“Certo! L’importante è trovare una storia. Per girare la scena della corsa in auto avevamo bisogno di realizzare una montatura dove applicare la macchina da presa, che doveva essere a 43 centimetri di distanza dal suolo. Mi sono rivolto alla bottega del fabbro del paese, Leandro Stefani. Ha eseguito un lavoro di una precisione che raramente ho visto”.
Qualcuno di questi professionisti meriterebbe di lavorare a Hollywood?
“Potrebbero, se avessero un’enorme passione e se fossero disponibili a provarci. Mi viene in mente uno dei collaboratori dei questo film, che mi ha aiutato molto in fase di post produzione. Si chiama Nicola De Prato ed è di Tolmezzo. Ha girato dei corti e dei video musicali: secondo me è bravo e ci proverà”.