C’è anche un pezzo di Friuli nel trionfo italiano alla notte degli Oscar a Los Angeles. A produrre ‘La grande bellezza’, il film di Paolo Sorrentino giudicato ‘Miglior film straniero’, è stata infatti la Indigo Film della friulana Francesca Cima.
Nata a Sacile, Francesca Cima si laurea a Padova in Storia del cinema con una tesi sui musical della Warner Bros degli anni Trenta e si trasferisce a Roma. E’ nella capitale che, dopo una breve esperienza nel campo della programmazione cinematografica, si diploma nel 1994 in produzione al Centro Sperimentale di Cinematografia.
Nello stesso anno fonda, con Nicola Giuliano e Carlotta Calori, la casa di produzione Indigo Film, società che per alcuni anni si dedica alla produzione di video istituzionali, cortometraggi e documentari. Contemporaneamente Cima lavora alla Bianca Film dove si occupa di pubblicità e coordina la produzione di “La parola amore esiste” di Mimmo Calopresti. Dal 1998 al 2001 si specializza nel campo della postproduzione e lavora come freelance per varie case di produzione tra cui Fabrica, per la quale cura l’edizione dei film “Lavagne”, di Shamira Makhmalbaf.
Nel 2007 Francesca Cima produce “La ragazza del lago”, opera prima del marito Andrea Molaioli, giallo d’atmosfera interamente girato in Friuli che le vale il “David di Donatello” come miglior produttore della stagione.
Nel 2001 con la Indigo Film realizza “L’uomo in più”, esordio alla regia di Paolo Sorrentino, con il quale realizzerà anche i successivi lavori, “Le conseguenze dell’amore”, “L’amico di famiglia” e il successo “Il Divo” che si aggiudica il Premio della Giuria al festival di Cannes di quest’anno.
È con vero ‘orgoglio friulano’ che, nel giorno del trionfo, riproponiamo l’intervista che Francesca Cima ci ha concesso nel 2008, in occasione delle prime affermazioni internazionali.
Se la “nuttata” sembra passata, se si intravedono le prime luci dell’alba, se il cinema italiano mostra i primi segni di una decisa ripresa, lo si deve indubbiamente anche a lei. Francesca Cima, di professione produttrice cinematografica, che all’attivo vanta la fondazione di una piccola casa di produzione tutta sua, la Indigo Film, e soprattutto la realizzazione di alcune tra le pellicole italiane di maggior successo degli ultimi anni: “La ragazza del lago” di Andrea Molaioli, e “Il Divo” di Paolo Sorrentino. Film acclamati, discussi, premiati come da tempo non accadeva a titoli nostrani. E se – come si dice – uno è un caso e due una coincidenza aspettiamo solo il terzo blockbuster per avere la certezza che la tenacia e la competenza della Cima possano realmente fare la difefrenza nel cinema italiano.
Quando si dice avere fiuto…
“Non credo al fiuto, all’istinto. E’ vero: una sceneggiatura, un libro, ti possono piacere di primo acchito, e allora devi precipitarti ad acquistarne i diritti. Poi però, devi anche costruire una struttura per realizzare il film, e lì ci devi mettere tutto l’impegno: per trovare i fondi, per scegliere il regista, il cast, per la promozione. E poi ci sono i casi come Sorrentino”.
Chi sono?
“Sono i creativi, quelli che hanno mille idee e vengono a cercarti per metterle in atto. Con Paolo ormai c’è un’amicizia che dura da anni, da quando producemmo il suo primo corto, ‘L’amore non ha confini’. Ci conosciamo perfettamente. Per questo lui si fida di noi e non è passato alle major, anche se ne ha avuto l’occasione. E per questo abbiamo realizzato con lui ‘Il Divo’. Con un altro regista, probabilmente non avremmo corso il rischio. Con registi simili devi assecondare, e a volte contenere, la loro creatività, ma sai che otterrai un prodotto speciale”.
Insieme dalla gavetta, quindi. Cosa ricorda di quel periodo?
“Io la mia gavetta me la sono proprio goduta, anche se oggi il precariato sembra il peggiore dei mali. Arrivavo da Sacile, dove avevo collaborato con Cinemazero, e da due anni di Scuola di Cinema. È vero, c’erano pochi soldi, ma c’era la libertà di provare. Se fossi stata pagata avrei dovuto essere efficiente, non sbagliare. Invece, non avrei imparato questo mestiere senza commettere quegli errori”.
Quali sono i segreti che ha imparato per azzeccare un film di successo, allora?
“La costanza. E il coraggio. Non c’è nessuna formula magica, chi vuole fare un film di successo deve crederci e rischiare”.
Facendo i conti con il budget e il botteghino.
“È compito del produttore trovare i finanziatori e saper proporre un soggetto. ‘Il Divo’ è costato 4 milioni e 200 mila euro circa. Per noi è stato un kolossal, ma abbiamo capito che ne era valsa la pena non appena abbiamo sentito gli applausi alla fine della proiezione a Cannes”
A proposito di film coraggiosi: a che progetti sta lavorando?
“A un film tratto dal libro – inchiesta di Marida Lombardo Pijola ‘Ho 12 anni faccio la cubista mi chiamano Principessa’ sui giovanissimi di oggi, sulle ragazzine con una doppia vita, studentesse e cubiste, sul bullismo, sulla droga”.
E il film che sogna di realizzare?
“Vorrei restare legata alla recente storia d’Italia e raccontare il periodo di Tangentopoli, che sta rischiando di essere misinterpretato e liquidato”.
In che senso?
“Il dibattito è ancora aperto. Io lo vedo come un’occasione persa dal nostro Paese. Invece adesso viene letto come un sopruso perpretato dalla magistratura. È proprio la doppia interpretazione che mi interesserebbe portare sul grande schermo”.
Che cosa non le piace del suo lavoro?
“La vita mondana, le cene di rappresentanza, le passerelle. In questo si esprime al massimo il mio carattere friulano, schivo e riservato. Preferisco lavorare nel mio ufficio, assieme al mio socio e ai miei fidati collaboratori”.
Eppure è stata più volte sulla Croisette di Cannes.
“Faticosissimo. Soprattutto l’ultima volta, con ‘Il Divo’ in concorso. Non sono riuscita a vedere nessun altro film. Ho dovuto occuparmi persino dei posti in sala per la nostra proiezione: anche per questo c’era una formale etichetta che andava rispettata”.
Con il suo lavoro concilia anche la vita privata: è sposata con Andrea Molaioli, regista de “La ragazza del lago”.
“Conciliare non è il termine esatto. Facciamo lo stesso lavoro, ma quanto a conciliare ho le stesse difficoltà di ogni mamma che lavora. Collaborare con Andrea è stato entusiasmante, la sua lunga esperienza di aiuto – regista ha reso tutto molto agevole. Poi è stato un rapporto di lavoro basato sulla fiducia reciproca: lui non pensava a me come al produttore dal braccino corto e io non pensavo a lui come il creativo megalomane. ‘La ragazza del lago’ è stato un progetto nostro fin dall’inizio, da quando lui mi ha fatto leggere il romanzo di Karin Fossum perché ne acquisissi i diritti. Ma ha reso le cose un po’ più difficili”.
Come?
“Dal punto di vista organizzativo. Orari e impegni coincidevano. Per cui ci siamo trovati entrambi a dover lasciare i bambini. Di solito almeno uno di noi due sta con loro. Mi ripeto: sono i problemi di ogni mamma che lavora, ma nel mondo dello spettacolo sono acuiti”.
Qualche esempio?
“Il mondo del cinema non contempla figli e famiglia. Si lavora per lo più di sera e di notte, molti contatti e incontri si fanno all’aperitivo o a cena. Ed è un mondo maschile”.
Cosa vuol dire?
“Che i set sono territori prevalentemente abitati e gestiti da uomini. Sono ambienti duri, camerateschi, fatti da persone che condividono quasi ogni attimo della giornata. Non sono molto portata a inserirmi in questo tipo di situazione, sono più tranquilla, riservata. Non solo in Italia, ma nel mondo intero, ad esempio, la fotografia di scena è in mano agli uomini. E’ un lavoro faticoso che da sempre è gestito da maschi, per una donna diventa quasi impossibile trovare uno spazio. In altri settori, invece, come la regia, si stanno incominciando a vedere più donne”.
Se non avesse fatto il produttore, avrebbe scelto comunque di lavorare nel cinema?
“Ho sempre provato interesse per questo mondo, per questo a Cinemazero mi occupavo già di cinema, scrivendo anche qualche recensione. Ma sono friulana, non credevo di avere la creatività giusta per questo ambiente. Così mi sono orientata alla produzione, spinta dal mito dei producer della Hollywood Anni Trenta, prima di rendermi conto che anche qui avrei avuto bisogno di una buona dose di creatività, soprattutto per trovare i finanziamenti!”
Il film della vita?
“In generale quelli delle origini di Hollywood. In particolare ‘Vogliamo vivere” di Ernst Lubitsch, un capolavoro assolutamente ineguagliato che mescola la commedia a una sana, lucida, cattiveria”.
Quello che l’ha più colpita nell’ultima stagione?
“‘Onora il padre e la madre’ di Sidney Lumet è senza dubbio quello che mi è piaciuto di più. Davanti a un film così, mi chiedo spesso se anche in Italia riusciremo a realizzare mai pellicole simili”.
Chi è il regista con cui sogna di lavorare?
“L’importante è che non si dimostri una persona troppo complicata, con pretese difficili da gestire. Se devo fare un nome, dico il taiwanese Ang Lee, quello di ‘Brockback mountain’ per intenderci. Nella sua carriera si è dimostrato così versatile e sensibile, che vorrei proprio avere l’occasione di collaborare con lui”