La sua discografia ufficiale era ferma dal 2011, l’anno della ristampa del suo ultimo album con i R.esistence in dub, esempio unico di musica in levare ‘tecnologica’ in lenghe. Nei dieci anni successivi, 2020 compreso, il rapper e improvvisatore Dj Tubet – cui nel 2015 è stato pure dedicato un graffito, a Gemona dal writer Kerotoo, per i 20 anni di carriera – ha inciso e pubblicato online una caterva di brani. Proprio nell’anno in cui tutti sono costretti a scegliere la rete, Mauro Tubetti va controcorrente, pubblicando il primo album.
Uscito su tutti i negozi digitali da venerdì 4 con l’etichetta Centedischi, anche in forma ‘fisica’ in cd, Fin cumò è una raccolta dei migliori singoli usciti, in un percorso vario tra lingue, culture e tradizioni, in friulano e italiano e nelle parlate di oltre una dozzina di collaboratori da Africa, Iran, Giamaica, Sud Italia…, spaziando – per gli appassionati di ritmi in levare – tra sonorità roots, nyabinghi, digital reggae e dancehall.
La prima domanda è inevitabile: perché aspettare 10 anni e perché proprio adesso?
“In questi ultimi 10 anni mi sono espresso più o meno con un singolo al mese: in tutto una settantina, usciti solo sul mio canale YouTube, senza contare i ‘featuring’. Se fai il conto, un album all’anno l’ho fatto! A questo punto, volevo essere libero di sperimentare anche nello stile editoriale. In un momento in cui tutto è più lento, ho fondato un’etichetta che mi permette di passare dal ruolo di produttore musicale a fonografico e organizzare il mio catalogo”.
In sintesi: un artista non può essere solo ‘virtuale’, vero?
“Ho deciso di fare un disco, dopo tanto tempo, perché ho capito dalle mie esperienze umane e online l’importanza della pubblicazione. Uscire in maniera ufficiale su Spotify ed essere reperibile dai ragazzini ti permette di essere ‘catalogabile’ a livello legale e dal punto di vista discografico: se sei solo su YouTube, sei un’opera artistica, ma è come se non esistessi. Mi sono arrabbiato con me stesso e mi son detto: se non un disco all’anno, almeno un compendio! Ecco: Fin cumò, fino ad adesso, è un modo per valorizzare il mio percorso artistico”.
Come convivono rap, reggae, friulano, italiano e altre lingue?
“Ho scelto canzoni che potessero rappresentare i tre filoni che ho sempre seguito: lingua e tradizioni friulane, collaborazioni linguisti- che e l’amore per la black music, metà reggae, metà rap, e derivati. Infatti ci sono 7 pezzi in uno stile e 7 nell’altro: quelli con il ritornello più facile e meno sperimentali, più radiofonici e easy listening, diciamo”.
Da rapper plurilaureato, hai sempre avuto un’attenzione particolare per il ‘messaggio’, in questo caso contro la ‘glottofobia’: di cosa si tratta?
“Addentrandomi nello studio sull’identità friulana e il patrimonio culturale e spirituale della nostra terra, mi sono accorto che un mondo così ha una ricchezza, ma anche una discriminazione in più. Il friulano è una lingua che suona strana a chi non la conosce! L’album vuole essere un manifesto naif contro questa discriminazione per orientamento culturale e linguistico, ma anche la dimostrazione che in Friuli ci sono tante lingue diverse, strane, anche da altri Paesi, e la bellezza sta nel loro incontro e nel rapporto dialettico”.
E’ ancora così difficile ‘farci capire’ fuori dai confini?
“Sono così contento di questo disco che vorrei spingerlo a livello nazionale come esempio di un’idea: è urgente che ogni popolo, ogni gruppo, abbia una propria identità, lingua e religione, per stabilire un dialogo. Se rispetto le mie tradizioni, lo farò anche con gli altri: dobbiamo educare le persone alla pluralità religiosa, linguistica e culturale, e succede solo se conosci più culture e musiche. Solo se mi sento in pace a fare la mia ‘F’ di Friuli in copertina, in maniera esterofila o tradizionale, posso sentirmi in pace con gli altri”.
La copertina è un omaggio al rap anni ’90, giusto?
“Sì, le citazioni principali sono Will Smith e i De la soul, il lato più solare del rap. La ‘F’ che faccio con le dita è un gesto da gangster furlan che non esiste. Ce ne sono due: una di pace e una di guerra, nascosta sotto il cd. Il gang sign è un simbolo di appartenenza che vuol dire ‘io abito qua e ti faccio vedere come vivo’, un’attualizzazione nel nostro vissuto, la traduzione di un mondo – quello del rap – che al pari del reggae ha avuto il riconoscimento Unesco per aver saputo unire i popoli portare un messaggio di pace. E comunque: le gang Usa anni ’90 avevano le camicie a scacchi come i nostri vecchi che giocano a briscola, e le scarpe gialle sono le stesse che si usano per andare col trattore nei campi! Non è solo goliardia, anche un parallelismo. Significa che sono fiero di essere friulano e di capire gli altri popoli raccontando il mio”.
“Il mio rap in friulano per capire il mondo”
Una raccolta di brani hip-hop e reggae in friulano, italiano e altre lingue, con la collaborazione di artisti da tutto il mondo: “L’incontro tra popoli ci salverà”
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