Per un decennio ha inciso album pieni di battaglie per i diritti umani e di riflessioni sulle tematiche più spinose. Nel momento in cui, per rovesciare una vecchia definizione, il ‘privato’ è diventato totalmente ‘pubblico’, la cantautrice friulana di adozione Rebi Rivale (al secolo Roberta Bosa) ha deciso di iniziare a guardarsi dentro. E di provare a raccontare se stessa, in maniera intima, senza però rinunciare all’impegno sociale che le ha portato i riconoscimenti di Amnesty International, quelli al Premio Bianca D’Aponte e in altri contest nazionali di qualità.
“Il nuovo album Kintsukuroi è cantautorale – spiega – perché è il mio stile, ma prima o poi proverò uno stravolgimento completo. Io sarei un autrice, ma non ho trovato una voce ‘giusta’ per i miei pezzi. Forse sarei stata felice, però ormai ho trovato il mio feeling”.
La prima cosa che salta agli occhi è il risvolto ‘ecologico’ dell’album.
“Diversamente dai tre lavori precedenti, questo non esce in forma ‘fisica’ su cd. Ovviamente, sarà su tutti i portali digitali dalla prossima settimana, ma anche in forma di chiavetta usb realizzata – chip escluso, – in materiale riciclato, come il packaging e la carta su cui è stampato il booklet coi testi, perché devono essere letti e ‘annusati’. Non volevo la plastica, perché anche nella mia vita di tutti i giorni cerco di ridurre quanto posso. Mi piaceva l’idea di qualcosa di più snello ed ecologico ed è nato un progetto elaborato dal collettivo udinese Scarta, che usa materiale di esubero delle cartiere, vecchie matrici di stampa… Ogni album alla fine è una copia unica e diversa da tutte le altre”.
In un mondo sempre più ‘fluido’, è una scelta controcorrente! Oppure è un modo per spingerci un po’ più a riflettere prima di decidere e/o agire?
“Il titolo si rifa all’arte giapponese di riparare con l’oro la ceramica rotta, rendendo l’oggetto non solo nuovamente fruibile, ma più prezioso. E’ un riferimento chiaro ai contenuti: dobbiamo imparare a recuperare, non solo a gettare, anche nella vita. Il ‘recupero’ deve partire dalle emozioni, che troppo spesso vengono ‘rotte’…”.
E’ per questo che l’album comprende generi diversi tra loro?
“Non è un album politico, ma di emozioni, parla di rotture e aggiustamenti, di andare oltre, con ironia e un po’ amarezza. Negli album precedenti parlavo in terza persona, raccontavo storie accadute ad altri: in questo c’è più vita vissuta. Però ci sono anche singoli già usciti come La mia vita precedente, Sparsa, Piccola notte, ma anche blues, reggae e un pezzo in friulano che mi emoziona tantissimo, anche perché lo canto con Elsa Martin, amica del cuore e artista pazzesca. Sono tutti diversi perché noi siamo diversi, ogni giorno e in ogni fase nella nostra vita”.
Quanto è difficile essere originali, ma fedeli a se stesso, oggi che la musica è dappertutto?
“E’ vero: la compagnia si allarga, la musica è ovunque e per chiunque, ma è come se la palla fosse passata alla capacità selettiva dell’ascoltatore. Se si alza l’asticella della sfida, ci vuole la novità che stimola la curiosità perché il tempo di ascolto, di attesa e ricerca si è accorciato. Non devi avere ambizioni di successo, ma fare un prodotto di qualità: quando mi dicono ‘mi hai emozionato’, per me è come portare a casa un trofeo…”.
La componente femminile della band è centrale, ma non nel senso stereotipato del termine. Corretto?
“Sì: Paola Selva è una macchina da guerra, lei è una persona che crede nei diritti umani e delle donne e suona diversamente da un chitarrista con la sindrome da ‘maschio alfa’: ti fa arrivare le cose in manera morbida, anche quando gli argomenti non lo sono. Poi ci sarebbe Dissidente, che aveva cantato splendidamente Caia Grimaz, prima di lasciarci troppo presto. E’ un pezzo fondamentale, rimasto fuori dalla scaletta, ma lo proponiamo sempre dal vivo”.
“Tutto si ripara, anche le emozioni”
E' il primo lavoro totalmente ecologico, non in cd, ma come chiavetta usb con confezione fatta di materiale riciclato
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