Quanti sanno che fu un friulano, il nobile di origini gemonesi Antonio Franconi, a inventare il nome del circo? E chi potrebbe supporre – studiosi a parte – che in questa terra i riti antichi in musica sono sopravvissuti, caso quasi unico, alla scure del Concilio di Trento? O che il canto corale ancora così diffuso ha origini precedenti, e di molto, alla prassi codificata dalla villotta ottocentesca?
Questa e moltissimi altre informazioni sono inserite in un libro atteso da anni, un saggio che va ‘dal mito all’industria’ per raccontare la musica popolare, mescolandola con la storia e gli studi etnografici: un mondo variegato e ricchissimo che solo il musicista ed etnomusicologo Andrea Del Favero poteva riassumere in forma divulgativa e ‘non accademica’. Lungje, po’!, sottotitolato Strumenti e suonatori tra mito e musica, è il volume che il ‘padre’ di Folkest ha ultimato mentre stava inventando nuove strade per il festival di musica folk internazionale, che quest’anno è stato rinnovato e spostato da luglio a settembre.
DAL PASSATO AL PRESENTE – “Lungje, po’!” è il grido che i ballerini lanciavano all’indirizzo dei suonatori per incitarli a continuare a suonare, e simboleggia l’augurio rivolto al presente e al futuro della musica popolare a Nord-est, e non solo. In 250 pagine, compresi gli spartiti musicali di decine di ‘traditional’ (per dirla all’americana) di queste terre, più un cd allegato, il volume è una riflessione su saperi perduti, in estinzione o in trasformazione (o già trasformati) della nostra terra, facendo rivivere modi espressivi che ci sono giunti dalle generazioni passate, fissati a futura memoria.
CARRELLATA DI PERSONAGGI – Il volume raccoglie testimonianze scritte, fotografiche e sonore che faranno la gioia di chi già ‘sa’. Ma soprattutto di chi incontra per la prima volta gli strumenti della musica popolare: fisarmonica e violino, chitarra e liròn, mandolino e clarinetto, ma anche salteri e tintine, pifferi e cornamuse. Oltre a una ricca carrellata di personaggi entrati nella storia, magari non dalla porta principale, dai musicisti e cantori popolari ai produttori di strumenti.
GLI ANNI DEL FOLK-REVIVAL – Introdotto da un arguto scritto di Angelo Floramo, lo studio dimostra come la realtà territoriale ed etnica del Friuli sia molto complessa e variegata, per numerosi aspetti legata alla vicina Istria. Figlio diretto dell’esperienza di Folkest (nato come Fieste di chenti), che “ha sempre fatto suonare i luoghi, restituendo la musica alle piazze”, il libro prosegue e ‘organizza’ il lavoro di un’intera generazione di musicisti. Quelli che, dopo il folk politico anni ’60-‘70, guardavano con attenzione alla musica dei suonatori di matrice contadina, in declino, ponendo una maggior attenzione alle prassi esecutive e agli strumenti in se stessi e fissando i canoni del folk-revival.
DALLE AIE AI TEATRI – Il laboratorio aperto di Folkest è poi diventato, nel tempo, anche un luogo di confronto e studio con le espressioni musicali del mondo. “In questi anni nella nostra regione – chiude Del Favero – siamo stati noi stessi testimoni del tempo e di un significativo mutamento, che ha portato la musica folk ad abbandonare le aie e le feste di piazza per approdare ai palchi e ai teatri. Per arrivare fino a ciò che oggi, per volere dell’industria discografica, viene comunemente definito world music”.