Sport povero, minore per tv e media ma non per il pubblico che sabato 3 agosto ha affollato a Gemona l’incontro con la tuffatrice Tania Cagnotto, giunta al Laboratorio internazionale della comunicazione reduce dalle due medaglie vinte ai recenti Mondiali di Barcellona: argento nel singolo dal trampolino di 1 metro; argento nel sincro dai 3 metri con la collega e amica Francesca Dallapé. Intervistata da Guido Bagatta e da molti dei 78 studiosi di lingua e cultura italiana che fino al 14 agosto stanno seguendo il corso superiore promosso da 51 anni dal Lab (e dal 1989 a Gemona), Tania ha raccontato come “Che tuffo la vita! Vivere lo sport da protagonista”.
Figlia d’arte, da vent’anni è allenata dal padre Giorgio, con il quale ha un ottimo rapporto, come ha confermato, raccontando che è diventata tuffatrice nonostante i suoi genitori. “I quali non mi hanno iniziato a questo sport, facendomi provare lo sci, la danza, il tennis”. I tuffi, comunque, sono iniziati da piccolissima “e deve esser così, perché a quell’età non ci si rende conto del pericolo e non si è bloccati dalla paura”. “Garista” per natura – “i migliori tuffi mi riescono decisamente in gara piuttosto che in allenamento” – la preparazione durante le gare prevede molta acqua, due volte al giorno, mentre nei periodi lontani dalle gare la fatica è in palestra, tra atletica e pesi. Delle imbattibili cinesi, ha detto: “Meritano di vincere per come si allenano: otto ore al giorno da quando hanno quattro anni”.
D’innanzi ad un pubblico attentissimo e curioso, Tania ha svelato molti particolari tecnici, e non solo, del suo sport per il quale “ho fatto sì nel corso degli anni qualche rinuncia – non ho mai fatto una gita scolastica e per anni sono stata a dieta -, ma che ne sono valse la pena e viste ora non sono state poi grande cosa”. Uno sport “molto di testa”, ha confidato. “Le gare sono lunghe, ti mangiano viva, è fondamentale avere nervi saldi. Per l’80% vale la testa, per un 20% la prestazione fisica”. Anche per questo, ha aggiunto, “mi dispiace che i tuffi non abbiamo la stessa attenzione mediatica del calcio, perché è sicuro che noi ci facciamo il mazzo più dei calciatori, dei quali però non invidio la popolarità perché rischia di essere troppo invasiva rispetto alla vita personale”.
La “svolta”, la consapevolezza cioè che i tuffi potevano essere il suo sport d’elezione, è arrivata attorno agli 11 anni e quando ha cominciato a vincere ha deciso che avrebbe dovuto essere la più giovane atleta a partecipare ai giochi olimpici. Tania accontenta se stessa, debuttando a 15 anni a Sidney. Poi sono arrivati i Giochi di Atene, Pechino e Londra. Ora, a 28 anni, ha deciso di “pensare anno per anno. Se il fisico e la voglia terranno, allora sarò volentieri anche alle prossime a Rio”. Per il “dopo”, Tania Cagnotto si lascia l’orizzonte libero: “Potrei continuare nella Guardia di Finanza, che è il corpo che mi ha consentito di arrivare sin qui, ho diventare commentatrice televisiva per il mio sport. Si vedrà”, ha concluso.
ANDREW HOWE. Al Lab di Gemona è andato in scena anche il campione di atletica Andrew Howe, che ha toccato da vicino il tema del doping. “Il pubblico dovrebbe riabituarsi a non pretendere un record dietro l’altro dai campioni, dovrebbe rendersi conto che siamo uomini e donne protesi sì alla perfezione, ma non perfetti”. Andrew Howe, l’atleta azzurro che ha regalato emozioni importanti al pubblico nel salto in lungo (medaglia d’argento a Hosaka nel 2006) e anche in velocità, al pubblico del Laboratorio internazionale della comunicazione ha raccontato il suo modo di intendere “Campioni si nasce. Primatista si diventa”, nell’incontro condotto da Guido Bagatta. Quasi immediata la domanda del pubblico al giovane campione: sì o no al doping? “No”, ha risposto secco, “perché io voglio stare bene e dormire tranquillo, sapendo di aver dato tutto ciò che era nelle mie possibilità. Ma il pubblico – ha proseguito – deve sapere che noi atleti siamo persone, che possiamo avere degli infortuni, che non è detto si possa sempre macinare un record dietro l’altro. Dobbiamo dire basta al doping e l’atteggiamento del pubblico può essere molto importante per la causa”.
Forte in più specialità, Howe a questo punto della sua carriera ha deciso di “concentrarmi su una cosa sola, il salto in lungo, anche se penso che correrò spesso i 100 metri”. Condivide il motto “campioni si nasce, primatisti si diventa” e la “ricetta” che consegna agli aspiranti primatisti è articolata: “Tanta umiltà e gran spirito di osservazione per cogliere anche negli altri gli aspetti e le metodologie di allenamento che possono andar bene per te”.
Non partecipando ai Mondiali, ora il suo impegno più immediato è “chiudere la stagione saltando oltre gli 8 metri”, preparandosi così per gli indoor di inizio 2014. E poi il sogno, che è anche un programma di allenamento: “Vincere le olimpiadi a Rio nel 2016”, dodici anni dopo il suo debutto nei giochi dei cinque cerchi (Atene 2004). Appassionato batterista (suona da 20 anni e ora ha un suo gruppo), non ha riti particolari prima della gara, ma “ascoltare musica mi rilassa e mi concentra”. Al Lab che si interroga sull’Italia che saremo, da neppure trentenne (è nato nel 1985), dice che “dobbiamo forse tornare a ricordarci che nessuno ti regala niente e che la realtà non è Facebook, seppure internet e i social media siano strumenti molto importanti”.