Cosa spinge l’uomo del terzo millennio ad andare, ancora, in bicicletta? E, addirittura, a dedicarsi all’agonismo? Migliaia e migliaia di chilometri di dura fatica, finalizzati a quella fuga, a quella volata, a quello striscione finale. “In primo luogo, il ciclista si regala il senso di libertà”, dichiara Roberto Bressan, presidente-fondatore del Cycling team Friuli di Udine. “Vado dove mi piace andare. Non subisco la schiavitù del carburante. Percorro molta strada e a velocità ‘umana’. Ho il tempo di centellinare l’ambiente che mi circonda”.
Distensivo. Ma i suoi trascorsi di agonista si consumavano in ben altre condizioni… “È indubbio. Si paga un pedaggio salato, ma le soddisfazioni sono correlate. Di natura diversa, per non dire opposta, ma altrettanto gratificante. Il relax è sostituito dall’adrenalina che sferza corpo e mente”. Lei ha vinto titoli italiani, ma subìto anche sconfitte. Le sensazioni sui due versanti? “Ci si sente potenti in caso di vittoria. Nelle sconfitte, soprattutto quelle impreviste o registrate all’ultimo centimetro, ti crolla il mondo addosso. Però, servono a farti maturare”.
Con un tale mentore, la società ha sempre messo in pista o su strada atleti di buona caratura. Fra gli storici: Laura Basso, ragazza da podio, e il Rosso di Buia Alessandro De Marchi che, al Tour de France 2014, ha guadagnato il titolo di atleta più combattivo di tutta la carovana. Fra i giovani, brillano Riccardo Bolzan (nella foto) e Matteo Fabbro.