La pastorale giovanile della diocesi di Concordia Pordenone fa capo a un’ottantina di oratori. Da questa grande realtà viene Antony Puppo.
Da dove nasce la tua voglia di impegnarti nella pastorale?
“Ho iniziato a frequentare l’ambiente parrocchiale semplicemente per il gruppo di amici e le attività divertenti. Poi, con il tempo, ho iniziato a cogliere il senso profondo del servizio e la ricchezza che esperienze di questo tipo lasciano. Il motivo per cui dedico molto tempo ed energie alle attività pastorali, quindi, è perché riconosco la loro importanza nella lotta all’individualismo, nella crescita personale di ciascuno, specialmente dei giovani che oggi sono disorientati dalla società. Credo che, oggi, essere cristiani e mettersi al servizio del prossimo sia il miglior modo per ‘salvare il mondo’ un pezzetto alla volta”.
Perché hai scelto di dedicarti ai giovani e non occuparti solo di studio, sport e quant’altro, come molti ragazzi?
“Perché è da giovane che ognuno indirizza il proprio cammino e oggi non è facile fare la scelta giusta tra le infinite proposte
di questa società. L’educazione ai valori umani (non solo alla fede cristiana) è un pilastro delle attività pastorali ed è proprio quella che nelle famiglie, invece, sta venendo meno. Dedicarsi ai giovani oggi e trasmettere loro dei valori oggi, vuol dire ‘salvare’ gli adulti di domani e quindi la società di domani”.
Pensi che la vita all’interno di una parrocchia sia più protetta e per questo non sia toccata da come la droga?
“Problemi e difficoltà ci sono anche negli ambienti parrocchiali, ma certamente è un posto in cui ognuno può trovare aiuto e conforto. Succede che a volte anche in oratorio alcuni ragazzi portino la droga. Ma la differenza sostanziale tra la parrocchia e la strada è che nella seconda nessuno ti aiuta, ti ama e ricerca il tuo bene come nella prima. I sacerdoti, le suore e gli educatori sono lì per aiutarti e qualunque sia il tuo problema ti accolgono.
In generale, comunque, mi sento di dire che tutti gli ambienti parrocchiali che ho conosciuto e frequentato
sono decisamente più sicuri, positivi e sani di altre realtà”.
Pensi che per comunicare coi giovani anche le parrocchie debbano diventare social?
“Sono convinto di sì. ‘Diventare social’, però, non deve voler dire sconvolgere le proprie dinamiche per seguire quelle del web. Significa, piuttosto, parlare il linguaggio dei giovani e se è a loro che ci vogliamo rivolgere, allora diventa essenziale. Nei social ci sono tante cose negative o tuttalpiù inutili. Tocca a noi (e non solo ovviamente) far circolare le cose belle, buone e vere. Se in una parrocchia c’è un gruppo whatsapp degli adolescenti, una pagina Facebook della sagra e una pagina Instagram delle attività giovanili, il tutto risulta sicuramente più appetibile e coinvolgente per la mente di un adolescente/giovane”.
Diocesi: diamo un indirizzo a chi è disorientato
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