È la conferma che in Italia abbiamo qualche problema nel sistema di valutazione degli studenti. La presidente regionale dei dirigenti scolastici Anp del Friuli-Venezia Giulia, Teresa Tassan Viol, non cade certamente dalle nuvole guardando il confronto tra esiti delle prove di ‘matura’ e quelli dei test Invalsi. Anzi, punta il dito sulla necessità di una soluzione strategica degli aspetti valutativi, per l’intero sistema dell’istruzione.
Non è stupita, quindi?
“No, il dato della rilevazione nazionale è oggettivo, quello della maturità risente delle specifiche situazioni; si tratta di un fenomeno antico della scuola italiana, che non può essere messo in relazione con le conseguenze recenti della Didattica a distanza. Un fenomeno che, indubbiamente, genera qualche perplessità. Non si capisce, infatti, come i voti massimi che fioccano in abbondanza soprattutto negli istituti del Sud Italia siano in relazione con i risultati oggettivi, diametralmente opposti, delle prove Invalsi o di quelli Ocse-Pisa. Ad alimentare ulteriore perplessità è, poi, il fatto che proprio nelle regioni meridionali la dispersione scolastica è un fenomeno molto più rilevante, e preoccupante, rispetto a quelle settentrionali, come la nostra appunto, nonostante la più alta valutazione media degli studenti. Tutto questo rimanda alla discrezionalità del sistema di valutazione adottato nel nostro Paese”.
È quindi solo un problema di metodo di valutazione?
“No, il problema è senz’altro più complesso, ma il modello adottato dovrebbe essere ripensato per renderlo funzionale al processo formativo e di apprendimento dello studente, affrancandolo da una semplice sommatoria di voti e giudizi. In tutto questo, comunque, le prove Invalsi hanno un significato diverso, in quanto non servono tanto a valutare il singolo studente o la singola scuola, quanto a capire se il sistema scolastico generale è efficace e a fornire degli elementi per il suo miglioramento”.
Non pensa che i giovani friulani, in questa maniera, vengano discriminati?
“In verità si parla da tempo di abolizione del valore legale del titolo di studio e nel mondo del lavoro la sua valutazione ha sempre meno peso nella selezione. Vero è che in certi casi, come alcuni concorsi pubblici, e nell’accesso ad alcuni benefit per l’università, il voto della maturità conta ancora”.
Con la semplicazione delle prove di maturità è sempre peggio
L a scarsa oggettività del voto di ‘matura’, alla fine, rischia di far perdere valore allo stesso diploma. Il bambino, cioè, finisce buttato con l’acqua sporca. È questa la conseguenza del divario valutativo tra le regioni italiane, secondo l’assessore regionale all’Istruzione, Alessia Rosolen.
“È una storia vecchia – dichiara – che sicuramente in questi ultimi anni paga anche lo scotto della semplificazione delle prove di maturità, da cui sono spariti gli scritti e il colloquio è fortemente orientato dalle scelte di approfondimento degli studenti. Se a tutto ciò si aggiunge che la commissione d’esame è rappresentata da docenti interni e che il curriculum degli studenti pesa sul voto finale si ha la fotografia del divario rappresentato dalle prove Invalsi”.
Ai giovani che si propongono al mondo del lavoro nel settore privato, viene così chiesto un ulteriore passo.
“Credo comunque che nemmeno i risultati delle prove Invalsi fotograno appieno la situazione differenziata della scuola italiana che pesa profondamente anche sul divario territoriale rispetto all’ingresso nel mondo del lavoro con una selezione per merito che si sposta sempre più avanti negli anni, il più delle volte solo a conclusione di percorsi di specializzazione tecnica superiore (Its) e universitari”.