Sono stati sognatori, edonisti, spesso più disimpegnati che impegnati, yuppie o presunti tali, minoranza silenziosa o protagonisti di un’epoca lontana dai ‘grandi eventi’ storici, ricordata – a torto – più per capi d’abbigliamento orribili all’occhio odierno che per l’effettivo valore. E oggi si portano sulle spalle un peso enorme: quello di ‘maggioranza’ numerica del Paese, sapendo di essere, al tempo stesso, l’ultima generazione che ha vissuto un boom economico (gli ’80), l’età dell’oro o dello spreco o come la vogliamo chiamare, e la prima a vivere in prima persona le conseguenze di quella che ondeggia tra ‘crisi prolungata’ e ‘fine di sistema’.
La generazione del baby boom, ossia i figli del benessere del dopoguerra, comprende storicamente i nati dal 1946 al 1964, ma per l’Italia – e il Friuli in particolare, dove certe dinamiche sono sempre arrivate in ritardo – si tende a spostare tutto in avanti di almeno una decina di anni. Stiamo parlando, quindi, di chi è stato adolescente tra la fine dei ’70 e gli anni ’80, passando dalla cupezza degli anni di piombo all’ostentazione sfrenata della ‘Milano da bere’.
Ieri edonisti o yuppie, oggi tengono in piedi il paese: più di un lavoratore su 2 in regione ha tra i 41 e i 60 anni
I dati Istat sono chiari: nella nostra regione, gli abitanti dai 41 ai 60 anni, ossia la generazione dei baby boomer alla friulana, nati tra fine ’50 e primi ’70 e quindi protagonisti di quella lunga stagione che va dal 1976 (l’anno del terremoto, spartiacque regionale) al 1989 (il crollo del Muro di Berlino, spartiacque mondiale), sono 380.160 e hanno superato persino la ‘terza età’, ossia gli ultrasessantenni, fermi a 375 mila e rotti. Molto indietro i 20-30 enni (250.3888) e ancora di più gli ‘eredi’ (212.292 gli abitanti da sotto i 20 anni).
Se poi andiamo ad analizzare il numero degli occupati, le cifre si fanno ancora più evidenti: su 505 mila corregionali con un lavoro, la fascia di età dai 35 ai 54 anni è ben oltre la metà del totale, ossia 298 mila. Aggiungiamo i numeri -record – in negativo – relativi alla natalità: nel 2017 in regione si è registrato il quoziente più basso di sempre, il 6,7 per mille, con un cosiddetto ‘tasso di fecondità’ (il numero di figli per donna) fermo alla media di 1,3: tra i più bassi d’Italia e dell’intera Europa.
Cerchiamo quindi di riassumere: la generazione che ha vissuto l’ultima festa – quella degli ’80 – ignara magari del fatto che all’epoca l’inflazione viaggiava a due cifre e la guerra atomica era davvero dietro l’angolo (nel 1983 ci siamo andati più vicini che nella crisi di Cuba, ma lo abbiamo saputo da poco…), ora rischia fare crac. Costretta a sostenere il Pil del Paese, visto che rappresenta il numero di occupati più elevato, con pochi figli (per scelta?) destinati a prenderne il posto, non ha neppure la ‘visione’ del riposo e della meritata pensione vagheggiata dalle generazioni precedenti. Già, perché chi ha visto colleghi festeggiare l’addio al lavoro addio a 60, 59 o 58 anni, è costretto a fare i conti con previsioni da incubo: 67, 68, forse oltre i 70…
Cosa può restare, dunque, a una generazione che vive tra il ricordo di un passato abbastanza felice e con la spada di Damocle di un futuro senza certezze? Rifugiarsi nel passato, ovvio. E ogni tanto far festa come se non ci fosse… un oggi, più che un domani. L’onnipresente operazione-nostalgia, il vero tratto distintivo di questo inizio Millennio, è dunque un modo per rimanere legati a un periodo che forse non era tutto d’oro, ma comunque luccicava, per dimenticare il presente.
La cosiddetta ‘retromania’, ossia vivere nella costante nostalgia di tutto quello che ricorda gli anni più spensierati della propria vita, infanzia o adolescenza che sia, è un fenomeno ampiamente studiato. Ed è onnipresente: nella moda, nell’intrattenimento, alla Tv, nella musica… Dato positivo: c’è tutta un’industria, un indotto, che crea ‘lavoro’ per sfruttare la nostalgia a tutti i livelli. Dato negativo: prima o poi torneranno anche gli abiti con le spalline esagerate…