Lasciammo il lago Inle e con il pullman, percorrendo strade di montagna, arrivammo nel paese di Loikaw. Il paese ci accolse al buio perché la luce, come in molti altri luoghi della Birmania, non sempre c’è, ed anche in albergo a volte la luce si spegneva. In questo luogo lontano dal mondo la vita era lenta e semplice, tranquilla, tutto appariva incredibile d antico: è normale vedere le donne che lavorano e si lavano presso piccoli ruscelli assieme ai loro bimbi mentre altre trasportano sulla schiena, o sulla testa, sacchi o cesti colmi di verdure, anche di materiale edilizio; sono avvolte nelle vesti colorate e lunghe ed indossano copricapi realizzati con stoffe avvolte ed intrecciate.
È normale vedere i carretti trainati da buoi su strade di terra rossa, è bello guardare i volti dei bimbi dalla pelle leggermente dorata, dagl’occhi lucenti e neri, dai sorrisi sinceri e dolci, con i piedini scalzi, mentre giocano con poco o nullae osservano lo straniero per capire da quale mondo arriva. Il loro mondo invece è cresciuto nelle etnie di appartenenza, tra gli alberi sacri di “Peepal”, gli alberi di “Siddharta”, tra le pagode sulle rocce di “ThiriMingalar Taung Kwe”, tra i piccoli mercati d’alimentari, nella capanne adibite a scuola. La scuola è un luogo importante d’apprendimento e d’integrazione; nel piccolo cortile attrezzato con semplici giochi all’aria aperta i bimbi fanno ricreazione: i loro volti sono meravigliosi anche quando sono coperti da una crema bianca, che anche le donne usano per difendersi dal sole e dagl’insetti.
Dopo un lungo percorso a piedi abbiamo raggiunto il villaggio di Pan Pè per incontrare il gruppo etnico “Kajan-Padaung” dove vivono le Donne Giraffa. Quest’ultime dalla primissima infanzia indossano una spirale formata da cerchi d’ottone intorno al collo affinché questo possa allungarsi di molti centimetri. Sono incredibili quando le si guarda: il volto arrotondato e piccolo, le spalle molto basse, non sembrano sofferenti anzi orgogliose del loro aspetto ed esibiscono con fierezza la caratteristica identificati vadella loro etnia. Alcune portano i pesanti cechi d’ottone anche sotto al ginocchio.
Nei villaggi etnici lo spazio centrale intorno al quale sono costruite le capanne, uomini e donne cuociono i cibi locali in enormi Wok (particolari pentole), poste sulle legna ardenti normalmente sotto il sole forte della Birmania.
Rientrati a Loikaw abbiamo visitato un sito animista nel quale particolari totem erano stai edificati per proteggere le anime di coloro che dovevano essere ricordati come eroi. Che luogo incredibile!
Il mio viaggio riprese nuovamente verso il lago Inle passando per il villaggio di PheKhone dove ho assistito alla festa con processione dei monaci buddisti per raccogliere le offerte dei fedeli. Gli unici turisti eravamo noi e siamo stati accolti dalle autorità locali con grande onore e gentilezza; la nostra presenza è stata annunciata dagl’altoparlanti. Nessuno di noi si sarebbe aspettato un’ospitalità così e con estrema meraviglia ci siamo lasciati trasportare da tanta cordialità.
Eccomi di nuovo a Yangon per riprendere l’aereo che doveva portare me e gli altri con i quali ho condiviso il viaggio verso casa. Ma parlare di viaggio è estremamente riduttivo perché la Birmania è una reale esperienza di vita dove l’aria che si respira è quella della serenità, del ritmo lento della vita, dove l’acqua che passa è l’elemento buono ed utile per tutto e per tutti, dove la terra da i prodotti per la sopravvivenza, dove il fuoco è fondamentale per scaldarsi e cucinare, per illuminare le sere scure. Il sole segna il tempo di agire e quello di riposare, il sorriso è vero sulle bocche di tutti e negl’occhi immensi dei bimbi, il saluto ed il grazie sono espressi con un inchino a mai giunte comunicando dolcezza e tranquillità. L’armonia di quel mondo coniuga una vita semplice tra un’esplosione di colori con la cultura ed emozioni profonde ed infinite.
Fulvia Badini
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